A VOLTE VA COSì.

standard 13 febbraio 2017 6 responses

Ora basta. Oggi scrivo.

Questo ho pensato stanotte (ma si parla ormai di due settimane fa…), nel buio della camera, mentre mi giravo e rigiravo cercando il sonno perso. Quello che poi arriva tutto insieme la mattina, quando suona la sveglia e non vuoi aprire gli occhi, per nessuna ragione al mondo. L’ho pensato stanotte senza alcuna ispirazione, sapendo che il tempo è sempre meno e tutto da rosicchiare in qua e là durante la giornata, conoscendo lo svolgimento ripetitivo e pieno zeppo delle mie ore quotidiane che si susseguono senza sosta. Come quelle di tutti, più o meno.

Oggi scrivo e non so nemmeno io cosa.

Potrei parlare del mio lungo silenzio, tempestato di vita, raffreddori, tossi, antibiotici, vacanze, abbracci, sorelle, nipoti, regali, viaggi. Oppure potrei lasciare la pagina vuota, bianca, senza scrivere niente. E non perché non abbia niente da dire, semplicemente che è un momento così. Confuso, direi.
Sono arrabbiata, invidiosa, stanca. Ma sono anche grata, soddisfatta, felice. Possono convivere delle sensazioni così diverse e contrastanti tra loro? Poco importa della risposta logica, in me convivono eccome.

Oggi scrivo e poi non lo faccio. Lascio che ai pochi momenti disponibili si sommino cose da fare rimandate, ma non lo scrivere. Me ne pento ma non lo faccio, qualcosa vorrà pur dire. Che non è il momento, che non sento più la voglia, che non sono più brava (sono mai stata B R A V A? Ma che vuol dire, poi, essere brava?), che non è la mia priorità? Non lo so, non lo voglio sapere, non è importante. No, non lo è. Scoprire le motivazioni delle cose che non vanno come vorremmo, dei percorsi strani che prendono le parole prima di uscire di nuovo dalla mia testa. Certo, un silenzio così lungo è strano, per me, che sono la campionessa della regolarità. Ma sono 7 anni che sono qui, che sono presente, che scrivo, mi sono presa una vacanza (da me stessa). Diciamocelo. I blog personali non sono mai stati così tanto interessanti, oltretutto senza argomenti, come è il mio.
Forse c’è stato un periodo in cui andavano di moda, in cui erano più gettonati, complice anche il mio maggiore tempo da dedicare agli “altri” del mondo blogger. Adesso leggiucchio ogni tanto, ciò che mi va, qui ci arriva pochissima gente. Ma va bene così…io scrivo comunque, come quando avevo 15 anni. Scrivevo su quintali di carta ma non avevo nessun pubblico, se non me stessa.

Quindi a volte va così. Ci sei ma è come se non ci fossi, scrivi ma è solo nei tuoi pensieri. In compenso VIVI, ma quello lo fai davvero.

…e voi, mi raccomando, sperate che sia femmina 🙂

…sono meglio di Beyoncè vero? 🙂

ELASTICI

standard 27 ottobre 2016 3 responses

A volte si custodiscono delle cose che non si conoscono.

Sono sconosciute le forme, il contenuto, le intenzioni. Si custodiscono perché siamo persone protettive, per istinto materno o per casualità, per attenzione o egoismo, per paura, ansia o anche solo per distrarsi un po’.
Ieri ho raccolto una piccola foglia, dai confini frastagliati, l’ho poggiata lontano dalle mani distruttrici della piccola creatura che mi illudo di educare. L’ho protetta, senza conoscerla. Poi l’ho persa, ovviamente, come spesso mi succede nella baraonda delle giornate senza ne’ capo ne’ coda in cui mi tuffo, ma non per questo l’ho dimenticata. Questo faccio nelle mie giornate. Cerco.
Di non dimenticare, di non correre troppo o troppo poco, di esserci, presente, vera, reale, non quella specie di proiezione di me che non riconosco.

A volte custodisco me stessa, in una bolla fragile ma, a suo modo, resistente e stabile. Mi proteggo, ho bisogno di confini tangibili, di mani da trattenere e di occhi che supplichino attenzione. Mi proteggo da facili ostacoli, preferisco quelli più complicati. Me li lascio la notte, da sgranocchiare, perché passano meglio le mezzore di veglia accanto ad un figlio che non si arrende al sonno (quasi) mai.

Insomma, pare tutto un gioco di elastici. Elastici i sentimenti, elastico il tempo, elastiche le sensazioni vitali che mi trattengono dall’esagerare. E allora mi alleno ad essere elastica, a capire il significato dei cambiamenti continui, dell’imprevedibile consistenza delle giornate. A capire cosa è il movimento di fondo che ci rende così flessibili, ma non meno intensi, di un piccolo arco di bamboo.

Siamo elastici. Al mondo per modificarci e imparare.

Imparare ad essere genitori elastici, qualche esempio? Ok. Ad esempio: prima piangi perché lui piange, quando lo porti al nido. Poi piangi perché vorresti restare con lui, al nido. Ti piace vederlo crescere, interagire. Prendere i morsi dagli altri bambini, perché no, sapersela cavare.
Prima ti abitui a non dormire. Poi qualche ora. Poi tutta la notte. E poi si ricomincia da capo.
Prima ti abitui ai nuovi orari. Macchina. Asilo. Macchina. Lavoro.
Poi altri ancora. Macchina, asilo, autobus, lavoro. Corsa affannosa.
Poi è estate, bye bye Asilo.
Poi la baby Sitter.
Gli amici. I cazzo di virus. I dentini. I vaccini. La febbre.
Ovunque hai deciso potesse collocarsi il tuo piccolo, inutile, insignificante spazio…già non esiste più. Azzerato. Cancellato.

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Non è sufficiente? Lo so. Non credo lo sarà mai, perlomeno non sarà così per tutti. Ci sarà chi non vorrà o non potrà mettersi alla prova, come genitore elastico. Ci sarà chi si sentirà arrivato o chi non capirà mai le proprie potenzialità. Tra un affanno e l’altro, componendo il puzzle di ogni giorno, mi sento a volte spezzata a volte fortissima. Non esiste un elastico solo, nella mia scatola. Ogni giorno ne indosso uno diverso, per mantenere tutto in forma adeguatamente e il risultato è che, ovviamente, di adeguato non c’è mai niente.

Ma oggi è così che va, oggi mi sento adeguatamente me. Protetta al punto giusto. Mamma elastica e stravolta come piace a me.

Ps: non credo che la questione riguardi nessuno di voi lettori (se ancora ci siete). Però sappiate che non mi piace come chiudo i post. Inizio con un tenore e termino in discesa libera, senza criterio o legami, senza alcun senso a volte. Ma…va così. E’ il mio posto questo. Voletemi bene comunque.

QUINDICI ANNI.

standard 23 settembre 2016 Leave a response

Basilica di San Lorenzo

15 anni. Sono 15 anni che godo di questo cielo, di questo orizzonte, che si sagoma di architetture vive, interessanti, potenti, a volte delicate e sconosciute.
15 anni che sei la mia città, Firenze. Quanto mi hai visto cambiare? Quanto mi hai accompagnato tra i miei vicoli della vita? Abbiamo scoperto insieme coraggio e paure, molte lacrime che ora mi fanno sorridere, molti sorrisi che ora chiamano malinconia.
Ero una bambina. Ora?

Ora cammino attenta e guardo avanti. Ora [dovrei dirlo] sono una donna. Quando sono arrivata qui dovevo compiere 19 anni, adesso manca poco a 34. E se gli ultimi 3 anni sono stati una rivoluzione, tutti quelli prima sono stati la base, per questa rivoluzione. Quelle lacrime, le cadute e le ricadute, gli infiniti errori, le serate, i  baci, i trascorsi felici, gli amici. Gli Amici. L’amore, gli esami, le chiacchiere all’università. Il peso delle cose, che varia, che muta, che cambia. Il peso delle parole, dei momenti. L’importanza di tutto, che poi diventa niente, che di nuovo si trasforma. L’università. Non ci capivo niente, all’inizio. Andavo a lezione, prendevo appunti, non sapevo studiare. Ero sprovveduta, spaesata, senza forma. Da un piccolo paese di 1000 abitanti, da una provincia di agricoltori e pianure infinite per me, Firenze, era pura magia. Mi confondeva, mi faceva sentire piccola ma importante, sopraffatta dall’energia che sprigionava. Con la sua arte ovunque, così dirompente, importante, i primi sei mesi volarono senza nemmeno farmi accorgere di ciò che stavo facendo. E non che dopo sia andata meglio, ho solo migliorato qualche dettaglio, piano piano.

Ora [non so se lo sono] sono una mamma. Una mamma che a volte non ce la fa, che corre, che lavora, che lava/non stira/cucina/si arrabbia. Una mamma ogni giorno nuova, che si innamora anche delle difficoltà, che dice GRAZIE, ogni giorno. Grazie per queste vite. Sono una mamma moderna ma non troppo, attaccata alle convenzioni ma non troppo, sola ma non troppo, che ama e non è mai troppo. Una mamma incasinata, che vorrebbe più tempo per ogni giornata, per vedere EliaMirtillo crescere, in tutte le sue direzioni possibili. Una mamma che ha imparato la pazienza, suo malgrado e con tanto sacrificio.

Ora sono [ancora] quella bambina. Che non sa come ha fatto ad arrivare fino a qui. Che se ci penso adesso mi tremano le ginocchia. Perché la forza di quella bambina mi ha fatto fare tante cose. Andare avanti, lavorare sempre, nonostante le difficoltà economiche, studiare, studiare tanto, accettare me stessa, combattere, vincere o perdere non importa, comunque combattere. L’ingenuità, questa cara amica fedele che sempre mi accompagna, che mi aiuta a prendere un sacco di fregature ma, nonostante tutto, sapere che esisto. Che posso guardare la vita e sentirmi pulita.

Ora sono Berenice. Provo a vestire bene questo nome così importante, per me che sono così piccola. Firenze, ad esempio, mi calza a pennello; è una città incasinata, piccola e piena, controversa e talvolta antipatica. Vivere qui è abbastanza complicato ma lo considero un privilegio. Soprattutto quando, ogni mattina, nonostante la fretta, il sacrificio costante, i pensieri che sbattono uno contro l’altro, il sonno e la voglia di essere altrove…lei ti sorprende. Per Firenze 15 anni non sono niente, splende da secoli, ma per me sono stati una fetta di vita meravigliosa e, per la sua presenza costante, la ringrazio. Qui mi sento a casa.

SILENZI E RINASCITE.

standard 26 maggio 2016 4 responses

Il panico è un cappio. Un cappio che stringe forte il più potente dei respiri, quello della vita.
Il panico è un cappio che chiude il cielo in un fagotto di buio. Senza vie d’uscita.
Il panico nasconde la realtà, distorce le emozioni, cancella ricordi solari e sorrisi immediati.

Non esiste più la razionalità, l’efficacia degli abbracci, il rumore confortante di un messaggio sul cellulare. Il panico soffoca. Distrugge. Ammalia come una sirena ammaliava Ulisse. Ti penetra le orecchie con il suo canto sensuale e ti stordisce, lasciando che il mondo visibile sia solo in bianco e nero. Senza sfumature o arcobaleni. Quando pensi di esserne uscito forse sei all’inizio della rinascita. Tutto quello che puoi fare è provare. Caricarti di sorrisi, come un mulo sulle strade impervie delle Ande si carica di provviste. Caricarti di positività, energie e soluzioni. Lasciando per la strada quello che non serve.

Si diventa materiali, essenziali, forse troppo egoisti. Si diventa lupi solitari che imparano di nuovo (ma forse mai lo avevano imparato) cosa vuol dire stare soli con se stessi. Si diventa aggressivi e storditi dalle continue richieste. Si prendono decisioni totalmente inconsapevoli, nelle quali ti troverai a sguazzare qualche tempo dopo, a leggerne e cercare di capirne le conseguenze. Si va avanti, sapendo che di risposte non ce ne sono, lasciando che le cose fluiscano, scorrano, creino i loro percorsi solitari, solcando letti di fiumi leggendari.

Certo non sono una mamma nata con il buco, come scrissi poco tempo fa. E di perfezioni nella mia vita non ne ho viste molte. Spesso ho perso tempo a colpevolizzarmi davanti allo specchio, a farmi analisi di coscienza e domandarmi come e dove poter recuperare, dove fosse lo spazio per uscire dall’acqua e riprendere fiato. Ma questo privilegio adesso non ce l’ho. Riesco a malapena a trovare la forza di alzare la mano fuori dalle onde per farmi scorgere da qualcuno, lontano, sulla riva. Sono sempre a corto di fiato, ma probabilmente non posso essere diversa da quella che ho sempre voluto essere, incastrandomi in mille pensieri, prima che diventino impegni materiali.

Come sempre faccio voli pindarici. Ho iniziato a scrivere questo post nemmeno ricordo quando, l’ho corretto altre 4 o 5 volte sperando di finirlo, invece è rimasto qui, in attesa del suo momento (e del mio tempo). In questi giorni, in queste settimane, sono successe tante cose. Sono stati momenti intensi, di riflessione importante per me e, probabilmente, anche per chi mi sta intorno. Mi piace la vita, in tutte le sue sconnessioni e riconnessioni, in quello che regala comunque, anche nei giorni di vento in cui i capelli di parano gli occhi e non si vede più l’orizzonte, appiglio sempre valido e caro. Mi piace l’uso della parola, di cui spesso mi riempio le mani piuttosto che la bocca, non riuscendo come vorrei ad esprimere vicinanza ed empatia. Mi piace sbagliare, correggere (se possibile e se accettato), mi piace mettere alla prova con incoscienza tutto ciò che passa attraverso di me.

Certo è che, nei miei infiniti voli pindarici, dal decollo (crisi di panico) all’atterraggio, non dovete cercare tra le righe. Quello che voglio dire lo dico, con buona pace dei maligni. Quello che non c’è scritto non c’è e basta, non esiste. E se vi pare di scorgere qualcosa che parla di voi, sicuramente vi sbagliate. Io non so parlare per nessun altro che per me.

E’ il mio modo di fare introspezione, di conoscermi, di analizzare tutto fino allo sfinimento.

Fino a che anche il più tenace momento di panico si stufa…e se ne va. Lasciandomi sorridere.

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Le mie pause dall’ordinario

NON TUTTE LE MAMME NASCONO COL BUCO.

standard 15 aprile 2016 15 responses

Bach. Sinfonia sulla IV corda.
Immagino Piero Angela che racconta la mia storia (che lusso sarebbe). La mia storia lunga un anno, quello più intenso e forte che si può immaginare.

Primo mese. Potrei dire primo giorno, prima ora, primo sguardo. Non c’è un momento che non valga la pena raccontare. Così come non c’è un momento che non vorresti tornare indietro. Alla libertà di scelta. All’emancipazione. A quando potevi decidere di te stessa e per te stessa. Pochi momenti per pensare, pochissimi per andare al bagno, zero di solitudine. Rigurgiti come se piovesse. Ti senti come se ti fosse passato un tir sopra tutte le ossa, gli occhi pesano, i pensieri anche. Il cesareo non lo hai ancora “smaltito” e il corpo che vedi allo specchio è nuovamente cambiato. Ti chiedi se ce la puoi fare, la risposta è si, a tratti, come le code in autostrada.

Secondo mese. Le cose sulle quali ti eri soffermata a riflettere del primo mese prendono forma, si plasmano sulla solitudine che aumenta in maniera proporzionale alla perdita dell’indipendenza. Una solitudine fatta di due individui fusi in un’unica richiesta: amore. L’amore che si riflette, si allunga come il sole che tramonta sempre più tardi, lasciando il suo residuo in ogni giornata, rendendola lunga, infinita, difficile. Il baby blues ormai è roba passata ma le lacune di cui riempi le tue giornate sono consapevolezze. Anche se non hai più paura a mettergli il pannolino e il seno non è dolorante, ogni mattina è una sfida. Sfida a te stessa, stanca, sfatta, consumata. L’amore che si riflette, si, con il fastidio. Ma, nonostante tutto, sei sempre lì. Sveglia. Reperibile.

Terzo mese. Caldo. Torrido e insopportabile. Caldo impossibile anche per te, amante del sole. Esci, ma non basta. Passeggiate a qualsiasi ora, supermercati, centri commerciali, macchina ossessivamente parcheggiata all’ombra per non friggere un figlio ancora minuscolo ma che ti fa sentire potente, indispensabile, fiera. Alcune paure sono archiviate, altre sono in agguato. Ti accorgi che non puoi soffermarti mai, tirare il fiato, essere protetta dalla sicurezza di un obiettivo raggiunto. No, non basta. E’ sempre tempo di cambiamenti per te e per EliaMirtillo.

Quarto mese. Ancora caldo. Pazienza arrivata ad una soglia mai conosciuta prima. Le notti in bianco sono innumerevoli, quelle poche ore che riesci a mettere insieme di sonno sono un traguardo degno di una ultra maratona di montagna. Però sopravvivi. Ti imponi per farlo almeno una doccia al giorno, per spazzare via pensieri, per coccolarti 5 minuti, per concederti respiro, vuoto, per abbattere il senso di colpa. Quello che ti assale subito dopo aver inveito perché non cedi al sonno, per l’ennesimo rigurgito sul divano, sul bavaglio pulito, sulla tutina nuova. Speri in una compagnia che manca, manca sempre. L’amicizia assume nuove prospettive. Vai avanti, un passetto in più. La sdraietta è un’alleata, insieme alla fascia, per qualche minuto di pace. Perché i tuoi occhi sono sempre più attivi, attenti, vispi. Perché la tua crescita è la sostanza e il compimento di ogni giorno.

Quinto mese. L’estate è quasi passata. Il mare lo hai conosciuto per un giorno, ti è piaciuto. Sei sempre più coccoloso e tornito, intanto si avvicina la data del matrimonio e con lui anche lo svezzamento. Ogni cucchiaio che passa ti rendi conto che si, c’è sempre qualcosa di cui lamentarsi. Basta saper smettere al momento giusto e riconoscere tutto il bello fatto fino a quel momento e tutto il bello che dovrà ancora arrivare. Pensi al ritorno al lavoro, al nido, progetti che devi archiviare ma altri che non vuoi mollare, nonostante il tempo sia sempre più nemico delle tue giornate. Con le pappe arriva un’altra carrellata di ansie. Impegni. Scelte. Passi da fare con calma. Tutto quello che credevi impossibile da chiedere a te stessa lo fai senza nemmeno accorgerti di farlo.

Sesto mese. Aggiungi ingredienti alle pappe. Vedi i continui progressi di tuo figlio. Hai voglia disperata di fare qualcosa per te, solo per te. Torni a correre, non ci sono alternative, è quello che vuoi fare. Vorresti anche uscire con le amiche, leggere, fare un viaggio, stare spensierata su un prato lasciando tutti fuori dalla porta. A piccoli ma costanti passi capisci cosa è meglio per te. E quello che è meglio per te è sicuramente la cosa migliore che puoi fare anche per tuo figlio. Non è presunzione è solo una deviazione che hai trovato sul cammino. Di quelle irreversibili. Non hai più voglia di chiedere, insistere, mendicare. Inizi a tirare su un po’ di muri, per proteggere la tua vita stanca, perché non cerchi compassione ma complicità, condivisione. Ci sono degli spazi che ti fanno tirare il fiato e ci sono, soprattutto, le risate del tuo bimbo.

Settimo mese. La tua voce è dolcissima. Parla di “tatatata bababababa mamamamama”, di mondi colorati e sospesi, parla di armonie, di passeggiate, di scoperte che ti fanno ammirare tutto con occhi nuovi, quelli del tuo bambino. E’ filtro magico e caleidoscopico, il tuo sguardo acceso, mai domo. E’ sempre più bella la sua dolce compagnia, quella di un bambino tranquillo e osservatore come il papa’ ma curioso e un po’ folle come la mamma…peccato per le notti. Dure, minacciose, buie. Le luci artificiali che le illuminano la stanza non sono abbastanza. Perché è così difficile? Cosa stai sbagliando? Perché? Ti riempi di domande, alternando momenti di totale disperazione con altri di speranza. Ma, al momento, non ci sono vie d’uscita. Il tuo ottimismo infinito vacilla. Le gambe tremano.

Ottavo mese. Torni a lavoro. E’ dura stare senza di lui, senza il tuo tempo libero guadagnato nelle ore dell’asilo, è dura trovare un nuovo “nuovo” inizio. Ma a quanto pare la vita di ogni essere umano, se donna soprattutto, è destinato a questo. Riadattarsi. Riplasmarsi. Mettere un punto e ripartire da zero. Essere una persona uguale ma diversa, rischiando ogni volta di non riconoscerti, perché non solo cambia l’estetica ma anche le aspettative che hai su te stessa, su tutto quello che ti sembra di fare e, invece, agli occhi degli altri, ti accorgi di non fare. Insomma…ti senti trasparente. Ma forse è meglio così. EliaMirtillo cresce, sta seduto bene, si rende conto di ciò che succede intorno, si fa amare per la sua dolcezza infinita, per la sua morbidezza cronica, per la sua pelle liscia e profumata, per quella bava così copiosa. Si fa amare perché non può essere altrimenti, ai tuoi occhi, innamorati.

Nono mese. Il primo Natale, il primo anno nuovo, il primo antibiotico, la prima febbre, tosse, bronchite, virus gastrointestinale. I primi 3 fine settimana a disperarsi perché stai male. Nono mese, sesta malattia. La prima corsa al Meyer con il cuore in gola per una febbre che non vuole scendere sotto i 40°. Poi passa. Passa e ti senti invincibile. Nonostante la stanchezza assuma delle forme di sopravvivenza mai conosciute e pensate prima, nonostante le gambe cedano ma molto più spesso cedano i nervi. Passa tutto. La regola imparata in questi mesi, vivere alla giornata, è indispensabile ora più che mai, per non pensare troppo al domani, per non illudersi ne caricarsi troppo di afflizione e ansie. Insomma…tutto regolare. Essere mamma ti sta insegnando tantissimo. Ti sta togliendo degli orpelli, ti ha reso più pratica e meno filosofica. Ti fa sorridere sulle cose che prima ti preoccupavano. E’ come se davanti a te ci fosse un grandissimo casellario e tutte le priorità si fossero scombinate e avessero lasciato libere tante caselle sparse. L’abilità di riposizionarle, piano piano, è sempre più immediata.
Ah. Si sono fatti avanti i primi due dentini.

Decimo mese. Dopo mesi di preoccupante stabilità, finalmente gattoni. E come ogni volta ti trovi a “maledire” il momento in cui hai desiderato che scoprisse nuovi mondi, come sempre ti è successo in questi mesi. Perché essere madri è un percorso a tappe, dove conosci ciò che hai appena passato, per il quale hai conquistato la maglia gialla, quella rosa e quella del gran premio della montagna. Ma le tappe che verranno le aspetti con ansia e inquietudine, curiosità e fibrillazione, sperando in evoluzioni che quando arrivano non sai ancora come affrontare. Gestire le potenzialità di un piccolo essere che, piano piano, si sta staccando da te, potenzialità che non sono “tue” ma appartengono ad un “altro” che comunque fa affidamento completamente su di te. Insomma, un gran casino. Il bello del gioco è tutto qui, nel farsi confondere da tutto questo casino, rimanendo sempre con il sorriso sulle labbra. E come si fa a non esserlo, con lui accanto?

Undicesimo mese. Il tempo passa così velocemente, complici le settimane lavorative intense, che non hai nemmeno tempo di pensare a quello che sta per arrivare. Il suo primo compleanno (tadadadaaaaaaan). Non sai se vorrai festeggiare, sei confusa, ti senti in una specie di baraonda che ti fa rimbombare le orecchie. In fondo è una festa più per te che per lui, inconsapevole attore protagonista di questi 366 giorni intensi e, talvolta, complicati. Ma piano piano intravedi un barlume di vita, le notti cominciano ad essere meno pesanti e, dopo tanti tentativi, sacrifici inutili, forse hai trovato la strada giusta per la sopravvivenza: niente tetta la notte e via, in camera da solo, come i bimbi grandi. Improvvisamente ti chiedi perché non lo hai fatto prima. Perché forse per tutte le cose esiste un momento giusto? Perché è arrivato quel momento. In cui sei consapevole che ce la puoi fare da solo, quasi fino a sentirti ricco e straripante d’amore. Il momento in cui la fortuna e l’amore pieno vanno di pari passo, camminando in sincronia. In cui non hai bisogno di abbracci rassicuranti di continuo ma solo a giorni alterni. Il momento in cui senti di dover lasciar in pace tutti, dai tuoi tormenti, perché essere mamma agli occhi degli altri è di una noia incredibile. Invece agli occhi tuoi sta prendendo una forma quasi divertente, alla quale non potevi credere fino a qualche tempo fa. Essere mamma è un percorso, come lo è la felicità. All’inizio ti sembra impossibile, un tunnel afoso e soffocante, senza uscite. Poi diventa difficile, un ginepraio di rovi ma forse districabili. Poi diventa fattibile, pieno di ansie e graffi, ma quei rovi si trasformano piano piano in foglie verdi lucide, nuove. Poi diventa reale. Consapevole. Giusto. Bello come devono essere le cose belle. Quasi inspiegabilmente ti piace anche quella “solitudine a due” che prima ti chiudeva a doppia mandata la gola.

Dodicesimo mese. Ci siamo. Aprile è qui. Il 15 aprile saranno terminati i 12 mesi dalla sua (e tua) nascita. Compirà un anno. Quel cosetto lì, insignificante ma indelebile, con quelle gambette corte e ciccione, con le mani tornite e gli occhi marroni scuri, quel panzone lì compirà un anno. Quello che ti ha fatto penare di notte e gioire di giorno, quello che ti butta le braccia al collo ogni volta che ti vede, facendoti spappolare il cuore di gioia, quello che tu amerai, incondizionatamente ogni istante ma che all’inizio non sapevi come fare, e ti sei chiesta tante volte se quella fosse stata la cosa giusta. E ora invece ti chiedi se farla di nuovo, sta cosa. Perché nel tempo ti sei data delle risposte, il tempo come sempre ha aiutato a dipanare anche queste matasse strane e sconosciute. La sensazione è bella, ora. Respiri a pieno la primavera, le belle giornate, i suoi sorrisi sull’altalena, ti prendi tutto il meglio e se non hai occasione di farlo ti manca, perché è fiorita e profumata, questa primavera. E’ ricca di sole, di margini di miglioramento, è morbida al tatto come l’erba del prato di casa tua. Quella dove lo hai seduto per fargli assaggiare le prime margherite, lasciandolo per un attimo fuori dall’eterno controllo che vorresti, per lui.

1annoElia

Passo dopo Passo…

La sinfonia è finita. Per un attimo ti senti persa, senza musica. Ti guardi intorno, le mura della vostra piccola casa vi proteggono. Sono piene di colori, così come vorresti fossero sempre le sue giornate, senza preoccupazioni, paure, dolori. Non è il tempo di pensare a questo, è tempo di festeggiare. Di stare insieme, condividere, spegnere la prima candelina.

E mentre la lucina fluttuante si spegne, spengo pensieri e parole e corro da te.

NOVE. NOVE.

standard 28 gennaio 2016 18 responses

Ho preso in mano la tazza, ancora bollente, il filo della tisana pendeva fuori, facendo il solletico alle mie mani. Il fumo disegna delle strane virgole nell’aria, la profuma di agrumi, di giardini segreti, di rosa canina, di piccoli petali essiccati al sole. Nonostante il freddo, mi fa pensare all’estate.
Cerco di non fare rumore, mentre cammino verso la finestra. Vorrei guardare fuori, osservare in silenzio il tempo che scorre attraverso i passi svelti degli sconosciuti. Arrivo alla finestra, il vetro si appanna con il calore della tisana, che non accenna a diminuire. Mi tiene sveglia, attenta, vigile. Mi ricarica. Mi libera la mente dall’affollamento che sento, in queste giornate grigie ma piene di colori, suoni, faccende.
Disegno un 9, sul vetro appannato. Un numero tondo, sembra un pesciolino. Un simbolo al quale affido i miei pensieri di oggi. Un numero che riempio di ricordi, di passi importanti, di quello che ero e ciò che sono diventata.

Nove, come i mesi che hai passato dentro di me, Elia Mirtillo, mio piccolo cavaliere con pochi capelli e molti sorrisi. Nove, come i mesi che hai vissuto fuori da me, un nuovo compleanno, un nuovo inizio. L’inizio della tua vita da grande. Nove contro nove. Una simbiosi continua, profonda, stabile, che ha messo le sue radici legandoci eternamente.

9 mesi

9 + 9 fa 18 mesi di noi tre

Per festeggiare i nostri nove mesi ho rimesso i panni da corsa, ho deciso che era arrivato il momento. Erano (più di 9) mesi che lo aspettavo, questo momento. Qualcosa tutto per me, un paio d’ore in cui non pensare a niente (o a tutto?), in cui guardarmi intorno senza preoccuparmi di qualcosa di specifico se non di mettere i piedi bene a terra, muoverli facendo appoggiare tutta la pianta, sentire scorrere metri e chilometri come piace a me. E’ stato bello, bellissimo. E’ stato come festeggiare un compleanno con la torta preferita, piena di cioccolato e frutta fresca, crema al cocco e mascarpone, una torta della quale puoi mangiare tutte le fette che vuoi senza sentirti in colpa. Ho ascoltato la città, tutti i rumori sommessi dei passi degli altri, le voci dei pacemaker, gli abbracci degli amici che non vedevo da tempo, anche se ancora non posso correre con loro. Ho ripreso in mano le fila di qualcosa che stava andando perso, che sapevo di amare ma non così tanto. Perché ho sempre abbandonato tutto, via via, un po’ come accade nelle nostre vite frenetiche. Scegli una passione, oppure lei sceglie te, ed essendo passione brucia, finisce, scompare. Alcune invece sono sempre lì, sopite, vivono con te, aspettano se c’è da aspettare, con pazienza, che torni il loro momento.
Ciò che amo, dunque, rimane lì. Magari non progredisce ma rimane, si riempie di polvere ma rimane. Si arrugginisce, come arrugginite erano le giunture delle mie ginocchia, ma comunque rimane. E la magia che si compie quando ritrovi sotto il sottile velo dei ricordi queste passioni è qualcosa di inspiegabile, per chi vive la vita come me, come se tutto fosse un dono, niente di scontato, niente di ovvio.

E quindi per me questi secondi nove mesi sono stati magici. In qualche modo lo sono tutte le 24 ore che vivo (perché ahimè vi assicuro che anche le mie notti sono molto vissute…), cercando di destreggiarmi tra impegni utili e disutili, senza perdere un attimo a piangermi addosso, anche se talvolta la tentazione è forte (qualche minuto, ammetto, me lo concedo…). E quando ci chiediamo come si fa ad essere tante cose insieme, scordandoci una linearità, una logica, una pulizia di idee, forse l’unica cosa che dovremmo fare è quella di vedere realmente ciò che abbiamo.
E’ un esercizio utile all’amor proprio perché tutti abbiamo qualcosa di cui andare fieri e per cui gioire. Un muffin che ci riesce particolarmente bene, il cane che ci ama incondizionatamente, gli occhi grati del marito che voleva le lasagne proprio in quel modo, le nostre scarpe da corsa da cambiare ma che ci seguono fedeli ad ogni passo, il tramonto che vedi ogni sera dalla finestra del bagno, il sorriso sdentato del bambino più bello del mondo, il tuo.
Insomma, la perfezione non esiste. Non saremo mai mamme, compagne, mogli, colleghe, amiche, sorelle perfette. Quello che dobbiamo sempre rispondere, quando ce lo chiediamo, quando la voce nella nostra testa non fa silenzio e ci tormenta di domande, di perché, di questioni vitali ed inutili, è che abbiamo fatto del nostro meglio. Per noi stesse, ovvio. Perché se cerchiamo il meglio per noi, e siamo felici, ciò che ci gira intorno sarà felice. Mariti, figli, amici, saranno felici, se ci amano. Forse amare è proprio la forma di egoismo più pura e semplice, ma essenziale al nostro fiato per permetterci, appunto, di fare IL NOSTRO MEGLIO.

Ecco, in questi importanti 9 mesi di domande, paure, pianti e crisi, ci ho provato, con tutta me stessa.

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA.

standard 27 novembre 2015 8 responses

Ho pulito la borsa. Una di quelle cose che fai proprio quando sei arrivata ad un punto di svolta, oppure quando hai un po’ di tempo da dedicare alle cose inutili. Tipo oggi. Oggi che il mio Mirtillone rimane al nido fino alle 2. Oggi che comincia qualcosa di nuovo. Di nuovo qualcosa di nuovo. Direi che questo 2015 non è stato avaro per me, ma in generale non lo sono mai le mie giornate, basta solo saper guardare oltre, apprezzare ogni dettaglio che la vita ti presenta, anche il più insignificante.

Ho trovato, dentro la borsa, un sacco di spazzatura. Fazzolettini, biglietti del cinema di un’epoca dimenticata, tante penne, scarabocchi, scontrini, un deodorante finito (?), salviettine per culetti delicati, cose varie ed eventualmente inutili.
Ho trovato la voglia di mettermi qui e raccontare di questo giorno nuovo, perchè anche di venerdì possono esserci degli inizi. Dopo (quasi) 7 mesi e mezzo, passo qualche ora lontana dal mio piccolo. Oggi dorme fuori. E io cerco di resettare i pensieri e il bisogno della sua presenza. Si, perchè in mezzo alla voglia di dormire ormai cronica e la voglia di stare un po’ per i fatti miei, la necessità di sentire i suoi vocalizzi, le sue richieste e le sue piccole mani sul mio viso è una cosa che non riesco a frenare. Questo giorno nuovo porta con se la distanza e la consapevolezza. Il distacco e il mio nuovo inizio. Dopo 9 mesi tornerò in ufficio, martedì.
Sicuramente più magra dell’ultima volta, sicuramente più disordinata nei pensieri, più occupati da quella piccola presenza di cui parlavo sopra, sicuramente di nuovo nuova.

Quante volte ci re-inventiamo noi donne? E’ una vita piena di cicli, sempre diversi l’uno dall’altro, momenti che pur rincorrendosi, lasciano spazio a orizzonti di soluzioni sempre diverse, cicli simpatici e antipatici, cicli storti e sgonfi, cicli d’amore e di lacrime. E poi arriva la gravidanza. L’ennesimo cambiamento, un susseguirsi di domino che fanno della nostra vita un totale casino. Bello, bellissimo e sconosciuto. Ma pur sempre casino. A noi maniache del controllo queste cose fanno andare un po’ fuori di testa. Ma non te lo puoi permettere, non ora, non un Mirtillone che ti cresce tra le braccia. E quindi adesso mi re-invento la Berry di prima. Quella puntuale e precisa sul lavoro, cercando di ammorbidire quello che resterà delle mie giornate, per godermelo a pieno, quel fruttino di bosco in lievitazione che ho la fortuna di avere accanto. Marito compreso.

Sarà difficile. Sarà un nuovo blues, come il baby blues di qualche mese fa. Sarà nuovamente lacrime, sono qui che le aspetto guardinga, pronta con il fazzoletto. Sarà la mia vita di prima, quel prima che non esiste più, che si è arricchito in modo atomico, sarà la Berry che risponde al telefono BalloonExpressBuongiornoSonoBerenice tutto d’un fiato e sarà la Berry che si dispera per un nuovo raffreddore del Mirtillone erede.

Sarà, sarà quel che sarà. L’importante è che ci sia io. Presente, ben salda, con i piedi per terra.

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Tratto da “Le tre età della donna” di G. Klimt

IL MIO SMALTO.

standard 5 novembre 2015 13 responses

Ho grattato via lo smalto da tutte le unghie, uno smalto che non se ne voleva andare, attaccato al ricordo vicino di un giorno pieno.

Ho detto GRAZIE, tante volte. Ad ogni bacio, ad ogni sguardo, ad ogni fiore che osservavo sul mio mazzolino. Ho detto Grazie per tutto quello che ho sempre paura di non meritare, perché sempre sento un debito enorme verso tutti, per tutto.

Ho camminato sul filo del mio cambiamento, lo faccio ogni giorno per adattarmi a questa nuova vita che cresce con ricchezza e spontaneità, accanto a me. Ho sognato, respirato, voluto, desiderato, osservato. Ho vissuto.
Sono stati dei mesi pieni zeppi di cose, intensi e commoventi, folti come la chioma di un albero in primavera, che rifiorisce verso la sua nuova esistenza. Questi mesi di unione e distrazione mi sono serviti a ricaricare il mio bagaglio di energie per affrontare l’inverno. Perché diciamocelo…essere mamma non è proprio una passeggiata. Giustamente. E’ un compito articolato, di quelli stronzi e infami, che hanno insidie ovunque. Che ti basta una virgola per dimenticare il buono che hai fatto, che ti concentri tanto ma non basta mai, mai mai. Che sorridi anche quando vorresti chiudere gli occhi e dormire, almeno un paio d’ore di fila nella stessa notte. Che poi sei noiosa, perché parli sempre e solo di LUI, tuo figlio, il cuore pulsante di tutto l’amore che riesci a pensare in questo momento. Un amore che ti spezza la schiena, ti fa un po’ incavolare e commuovere, l’unico per cui faresti cose abbastanza impensabili, come mangiare dal suo cucchiaino la sua pappa sputacchiata.

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I progressi di #EliaMirtillo

E pensi di scrivere, lo sogni nelle notti non dormite, di fare come nei film. Scendere dal letto leggiadra e senza fare rumore, prendere il pc e avere la forza e le idee di comporre frasi sensate. Invece se per un malaugurato caso decidi di scedere sicuramente la tua grazia sarà quella di un elefante (addormentato) che sveglierà i pochi minuti di sonno di un piccolo malandrino capriccioso. E quindi pensi di scrivere ma non lo fai per mesi.
E non passi a leggere le tue amiche blogger ormai da troppo tempo, rimandi rimandi rimandi tutto, anche la depilazione delle gambe fino alla sera prima delle nozze, a mezzanotte, quando FORSE hai fatto quello che potevi fare per essere presentabile l’indomani.

A vedere le foto ero abbastanza presentabile, ma avrei potuto fare di meglio. Ed è un po’ quello che penso di  me stessa ogni giorno. FARE MEGLIO.
E mi arrampico sui muri del mio ottimismo, della mia infinita fortuna, del mio mondo così splendido che sembra quasi irreale. Non ho quasi niente eppure ho tutto.

Infinitamente Grazie. A tutti.

A chi era lì il 26 settembre, è stato bellissimo, la nostra festa, speciale e piena di sorrisi, proprio come desideravo che fosse.
Grazie a chi avrebbe voluto esserci ma non ha potuto, a chi passa con me ogni giorno, a chi mi sopporta e supporta anche con uno smile su whatsapp, a chi ho perso per strada, a chi ho dimenticato, ad ogni sguardo che incontro la mattina sull’autobus. Questo è il poco che posso fare. Ringraziare. Perché niente è più scontato di un grazie ma spesso dimentichiamo di dirlo.

Nonostante quanto io cerchi di dare, sarò sempre in debito con la vita per avermi fatto incontrare voi. Siete il mio smalto, quello che non si toglierà mai, nonostante le scalfiture, gli acciacchi, le separazioni e le assenze. Siete ciò a cui non rinuncio e mai rinuncerò.

CINQUE.

standard 8 settembre 2015 7 responses

Avete presente quando va via la luce? Siete tranquille, in una stanza che conoscete, ma improvvisamente al buio. Vi guardate intorno ma vedete solo buio. Poi piano piano iniziate a distinguere le cose, le pupille si allargano, anche quel filo invisibile di luce arriva ai vostri occhi. Gli spigoli prendono forma, le geometrie si ricreano, gli spazi tornano ad essere possibili. Le mani e l’olfatto aiutano a percorrere questi sconosciuti passi, a sentire le irregolarità del percorso, a non barcollare troppo, a non cadere, mantenendo questi equilibri precari che aiutano le mie giornate.

Ecco. Mi sento così ogni giorno. Ogni minuto, ora, cambiamento. Ogni poppata, ogni sorriso, ogni bacio che affonda nelle morbide guance. La mia vita al buio, sconosciuta e misteriosa, con un altro piccolo essere che assorbe ogni energia. O quasi. Con il tempo sto imparando a lasciare qualcosa per me, mezz’ore ritagliate tra le sue nanne, mezz’ore guadagnate con il papo che mi permette di scappare per le colline a correre, di nuovo, finalmente.

Ieri sera ho spento la luce. Ero in cucina. Ho fatto pochi metri tra il tavolo e il lavandino, poi ho svoltato e camminato accanto ai fornelli. In tutto saranno cinque metri o poco più.

Cinque metri di buio, cinque mesi di sconosciuto. Siamo forti, noi mamme. Mica me lo immaginavo sapete? Siamo incredibili, a volte se ci penso quasi mi commuovo da sola, benedetto ego gigantesco. Ma menomale che c’è, perché quando mi guardo allo specchio faccio un po’ fatica a riconoscermi. Baffetti a parte. Seno che arriva alle ginocchia a parte. Pancetta flaccida a parte. Insomma, estetica a parte, faccio fatica. Ma sono sempre io, siamo sempre noi, io e il mio nonmoltofuturo marito. Siamo piccoli con lui, siamo grandi grazie a lui. Siamo sempre noi ma la nostra vita gira intorno ad una giostra che comanda solo lui. Mai dimenticare di esistere. Mai dimenticare che quel noi ha portato a lui.

Ma ogni tanto, quando vagate al buio e credete di mollare, ricordatevi di quanto siete importanti, voi.

E non smettete mai di amare.

– post da leggere responsabilmente, nei momenti di scarsa fiducia –

cinque

CINQUE. Quasi cinque mesi d’amore in due anni e mezzo di altro amore. Parentesi quadre e graffe a parte.

I DIECI COMANDAMENTI.

standard 1 agosto 2015 2 responses

1. Corri a fare pipì, anche se non ti scappa. Appena si assopisce, si rilassa, chiude gli occhi. Tu, neo mamma, corri. Ti ritroverai a fare versetti direttamente dal wc sperando che il piccolo non si accorga della tua assenza. Perché sia chiaro…appena ti allontanerai di qualche metro i suoi occhi si apriranno, inesorabilmente.

2. Se la mattina ti svegli prima tu del pupo, dopo aver fatto la pipì, lavati il viso. Dedica qualche minuto alla cura (parziale, molto superficiale, ma pur sempre cura) di te stessa. Cara neo mamma credimi…sono questi piccoli dettagli che fanno la differenza.

3. Fai colazione. In piedi, passeggiando tra la culla e la cucina, con i biscotti in mano e il cucchiaino dimenticato da qualche parte. Mangia, in abbondanza. Sembra incredibile ma più sono piccoli più risucchiano tutte le tue energie! Non c’è sempre bisogno di cucinare…le patatine e un succo di frutta diventano un pranzo perfetto in situazioni di emergenza!

4. Fai tante liste. Della spesa, dei film da vedere e dei libri da leggere, dei pannolini che hai usato oggi, di ciò che devi mettere in valigia per il week end. Annota meticolosamente le idee che ti passano per la testa perché, ahimè, la maternità è bellissima ma ingombrante per la memoria.

5. Piangi, soprattutto i primissimi giorni, ogni volta che vuoi. Sfogati, odiatutti, desidera di scomparire, commuoviti e strepita…poi passa. Giuro che passa. Il baby blues di cui ho parlato qualche tempo fa svanisce. Arriva la fatica, la disperazione (talvolta), la solitudine, il silenzio. Ma tutto viene riequilibrato dalla presenza costante dell’amore che si farà largo dentro di te. Non ci sono mamme perfette. Ci sono mamme che AMANO. Tutto il resto è un contorno passeggero.

6. Fai shopping. Che sia on line o al mercato sotto casa, che siano kg di pesche o kg di borse non importa, tu spendi! Anche la notte…tutte quelle poppate a qualcosa serviranno!

7. Sogna. Sogna ad occhi aperti, mentre il sonno vince anche sulla tua infinita pazienza. Sogna vacanze e ricordi lontani, sogna il futuro del tuo bambino, sogna il tuo vestito da sposa (nel caso ancora dovessi sposarti…), le scarpe che vorresti, il mutuo estinto, che domani non sia caldo come oggi. Sogna un altro figlio, perché nonostante la fatica già speri che accada di nuovo. Sogna e non smettere mai di accendere i tuoi occhi di fronte alla vita, al desiderio, a te stessa, alla magia delle piccole cose, ai sorrisi.

8. Sii felice. Tu, neo mamma, hai una forza incredibile. E non solo nei muscoli ma anche nella testa. Quindi non hai nessuno ostacolo per non essere felice e soddisfatta di ciò che fai.

9. Bacia. Sgranocchia i suoi piedi morbidi, accarezza la testa (pelata), scorri con i polpastrelli le gambe che sembrano velluto. Innamorati di tuo figlio. Innamorati dei suoi momenti no, perché sembreranno più semplici. Guarda in faccia ogni giorno sapendo che, per quanto potrà essere difficile, tutti gli sforzi fatti saranno in qualche modo soddisfatti.

10. Resisti. Questi che hai appena passato sono solo i primi mesi. Il peggio, dicono, arriverà. 🙂

Scrivo a ruota libera, senza alcuna pretesa di verità, questa è la mia piccola, microscopica, insignificante esperienza maturata nei primi 3 mesi e mezzo, dopo aver messo da parte i primi momenti di terrore e incapacità.
Scrivo perché iniziano le vacanze, non le mie ma quelle del papà. Scrivo perché ogni tanto mi ricordo ciò che ero prima di quel 15 aprile: una donna con tante parole. Ora sono una donna con tante tette. Entusiasmo immutato ma molto meno tempo per fare ciò che mi passa per la testa, anzi, il tempo è talmente poco che spesso nemmeno so cosa mi passa per la testa. Agisco secondo i miei comandamenti perché, in ogni caso, il TEMPO è una bruttissima bestia. Ogni secondo che passo Elia cresce, diventa grande (ai miei occhi) e, credetemi, non voglio perdermi nemmeno un secondo di lui, finché potrò averne la meravigliosa possibilità.

patato

You’re Amazing <3

Perdonate gli errori, gli strascichi patetici di una giornata piena, le parole ripetute e la mia assenza.
Sono leggermente assorbita da questo Mirtillo ingombrante e bellissimo.