Irregolare e profumata (come la buccia di un pompelmo rosa).

standard 31 maggio 2013 73 responses

Tutto comincia da qui.

Giuseppe Sanmartino – Cristo velato (1753)

Perchè anche se studi storia dell’arte per anni, non è che ti puoi ricordare tutto. Ti basta poi un accenno e qualcosa ti risveglia delle emozioni. Dopo aver vissuto l’arte in modo accademico adesso la vivo in modo emozionale…o forse sono sempre andate di pari passo, solo che adesso è molto più forte ciò che sento piuttosto che ciò che so, quando guardo un’opera. 
La mia sensibilità mi fa esplorare ogni volta delle curve mai viste, di quel velo sul volto. Ed è come se lo toccassi, se lo sentissi su di me. Lo vedete quasi impalpabile, leggero, ma è marmo. 
Pesante, bianco, puro e duro. 
Che abilità nel tradurlo in leggerezza, nel renderlo come un sottile strato di cipria, da spazzolare via con un soffio di vento, come faccio ogni mattina sulle mie guance, colorandomi di rosa chiaro, per non essere pallida e vulnerabile.
Tutto comincia dove decido che debba cominciare.
E oggi si comincia dal ricordo di un velo. Quello che copre la mia testa di nero, quello che mi comprime così forte da non farmi ricordare come si prende fiato, immersi nel nulla.
Ed è così profondo, così scuro, infame, bastardo, sleale, che combattere non serve, se non a farti affogare ancora di più. Anche se mi impongo di stare a galla, annaspo.
Quel velo è la P A U R A. Con la P maiuscola.
Ti spara alla schiena, prima che tu finisca di camminare verso il punto accordato, non si fa guardare negli occhi.
Ti spegne tutti i pulsanti, i ricettori coscienti dell’amore. 
Tutti abbiamo vissuto qualcosa che ci ha attaccato addosso delle macchie nere di pece, le mie le conosco bene. So quanto sono grandi, profonde e vorticose, ma quando decidono di staccare la mia spina con i sensi mi lasciano inerme. Ho paura e basta, in quel momento. Che duri un minuto o un pomeriggio, non riesco a vedere, è orribile. Rimango ferma, immobile, in uno spazio in cui non c’è niente. 
Il velo mi soffoca, il buio mi invade.
Poi passa. Non so come sia possibile, passa. Ti svegli la mattina e l’unica cosa in cui affoghi sono gli occhi azzurri della persona che ami. E nel muffin al cocco fatto la sera prima.
E hai bisogno di riempire le tue ore di quella frivolezza solare che scolpisce ogni giorno la tua vita, senza malignità, senza nascondigli, senza angoscie e impervi e tortuosi percorsi.
 
Tutto comincia dove io decido che debba cominciare.
Comincia che il buongiorno che scrivi ad un’amica diventa il tuo post. 
Il post composto come una torta a strati.
E quindi inizia dall’arte e finisce con un sorriso.
E io con lei sono un soffione. Abbiamo due cervelli che se ci soffi sopra sfuggono alla scatola cranica (dice Sandra). Sempre più poveri di materia grigia, ogni giorno (dico io). Poco cervello e scappaticcio (dice lei).
Perchè io ho un’amica che dice che siamo (io e lei) fiorite come due zucchine.
E grulle come i grilli alle Cascine.
E io aggiungo che siamo fave come le fave.
Genuine, vive, pur sempre GALLINE.
“La mia amica mi dice di sorridere, di essere felice oggi perchè oggi conta e non domani.
La mia amica mi dice di essere positiva e piena di amore perchè l’amore chiama l’amore e noi (io e lei) non sappiamo vivere senza l’Ammmmmore, quello con la A MAIUSCOLA e con tutte le mmmmm del mondo.
La mia amica mi dice che mi vuole bene.”
 
Grazie Sandra. Io ti dico che sei speciale.
Oggi sono un cerchio che si chiude.
Ne decido l’inizio e la fine.
Senza che mi giri la testa.

(Siete confusi? Lo faccio per confondere la paura. Sia mai che volesse tornare.)

OLTRE. Scivolando sui pensieri.

standard 28 maggio 2013 54 responses

Non credo di averlo mai fatto.
Cosa?
Di pubblicare con quasi due mesi di ritardo dei pensieri di un pomeriggio caldo, nei primissimi giorni di aprile, quando l’illusione della primavera era reale e mi svegliavo con un misto di insoddisfazione e voglia di andare oltre.
Ma non conoscevo questo oltre, lo temevo di certo. Cercavo di annegarlo nella marmellata della colazione, ma lui tornava.
E, alla fine, c’è stato, ed è stato un oltre davvero OLTRE. Mentre sono qui che vi guardo dall’OLTRE, leggo con voi…

Sette Aprile Duemilatredici.
Sulle rive dell’Arno.
Sono come il polline. Fine, giallo, gustoso.
Sono come i raggi caldi di questa primavera, finalmente.
Sono questo aprile.
Sono questo ragnetto. Pochi millimetri di perfezione. Giallo su nero, come fosse polline.
Sono queste spighe verdi, immaturo frutto della natura.
Sono questo foglio di carta, questi pensieri impuri e gravidi, questo monsone di tempeste mai viste.
Sono questa irruenza, questa voglia di scoprire, di cucirmi in faccia un amore mai visto, questi vestiti così aderenti da non riuscire più a toglierli.
Sono queste domande a cui sottopongo la mia anima, senza tregua.
Sono al mediocrità che non conosco. Perchè la scanso ma non la posso lasciare del tutto, mio marginale contatto con la realtà.
Sono questo foglio, che voglio fare a brandelli, piccole parole, piccoli pezzi di carta, verba volant, per alleggerire un mondo costruito solo per la mia personale sopravvivenza.
Sono questo traffico costante, il profilo verde delle colline di Firenze, un tempo disabitate.
Sono questo sterile punto di vista, il cui valore è un significato solo per me.
Sono perfetta come le guglie di quella basilica, come il merlo di quella torre, il bastione di questa fortezza.
Sono troppo in una vita che il troppo non lo può tollerare. E nemmeno controllare.
Sono quelle piccole anatre che procedono sul fiume scuro, incuranti di ciò che avviene attorno. 
Sono la loro scia, il flusso sottostante creato, che lambisce con lentezza la costa, con il suo ritmo parallelo.
Sono quella cosa che dovrà avvenire, spietata e chiara.
Sono quel segreto che ancora non conosco, quell’amara domenica mal vissuta sotto un vento che ricorda l’inverno e un sole che chiama l’estate.
Sono le note di queste ripetute canzoni nelle mie orecchie distanti dal reale.
Sono la mia voglia di scrivere senza mai una fine, come se non conoscessi che righe e inchiostro nero, sbaffato dalla fretta di dire qualcosa.
Sono una mendicante di poesie già scritte, che non so come scrivere. Non conosco il carattere, ancora geroglifico, senza traduzione.
E allora tu fammi egizia, da profilo intatto per secoli, fammi scultura, mummia del passato così che io legga sulla pietra la mia vita già vissuta e stringi le bende. Stringi per non far passare il sangue, freddo afflusso di sistemi nervosi troppo attivi per lasciarmi riposare in pace.
Sono questo sarcofago.
Sono questa maschera di cera.
Sono la combinazione sconosciuta.
Sono un simbolo segreto delle Terre di Mezzo.
Sono una regina. Tu lasciati ammaliare dal canto delle sirene e vattene, lasciami, abbandona questa attesa che non sopporta più le attese sconosciute dell’amore.

Meekyoung Shin – Vasi di Sapone (foto by Berry – Saatchi Gallery, London, agosto 2012)

Perchè questa foto? Perchè era agosto, caldo anche a Londra. I miei pensieri erano più cupi di adesso e questo museo fu una boccata d’aria. Questi vasi sono fatti di sapone, da non credere, vero? Ora i miei cupi pensieri sono scivolati via sulle curve morbide di quelle forme, sono rimasti quelli dai colori accesi. 
Non c’è più nessuna attesa.

ALIENS#8

standard 23 maggio 2013 54 responses

Ciminiera di nebulose.
Una cosmica e avventata soluzione, per coprire l’infinito.
E’ l’assenza che lascia il solco indelebile
Quello del passaggio
Quella che non indugia

Esiste solo nel vortice scuro e fitto.

Istinto, fulmineo dolore.
Sei Schiuma.
Sei il mio dimenticato calore.

(progetto ALIENS di Berenice&Maurizio)

Il mio mondo di pozzanghere e ciliegie.

standard 20 maggio 2013 59 responses
Io mi chiamo Andrea, vivo in un piccolo paese, in un luogo di cui non saprei raccontarvi il nome, la storia, lo spazio, ma solo il presente.
Ho i capelli rossi. Le lentiggini. Gli occhi verdi. Questo è quello che so ogni mattina quando mi guardo allo specchio, poi lo dimentico appena chiudo gli occhi. La mia memoria non sopporta di ricordare, non so nemmeno perchè ma è così.
Mi ricordo come andare in bicicletta, come camminare in equilibrio sulle precarie giornate dove si respira un’aria sporca, come pettinarmi i ciuffi ribelli, gli occhi delle mie sorelle e l’odore della pelle di chi amo.
Mi ricordo come scrivere, mettere una parola dopo l’altra per comporre una frase compiuta, magari senza molto senso per tutti voi, ma che compone una lieve armonia per le mie corde.

Mi chiamo Andrea e in questo paese tutti usano la bicicletta, per andare a lavoro, per uscire con gli amici, per accompagnare i figli a scuola. Il sorriso è il saluto usuale. Mentre le vite degli sconosciuti si sfiorano, lasciando una scia di vento a ricordarne il passaggio, io guardo le strane pozzanghere immobili, trasparenti oblò che mostrano, ogni giorno diversamente, il mondo sottostante.
Vedo libellule leggere, che illuminano i fiori dove si poggiano, facendo cadere la porporina dalle loro ali, come fosse riflesso dorato del mondo superiore.
Vedo questi fiori che ascoltano la primavera, non solo stagione cadenzata dal passaggio, dal tempo, dal nome dei mesi, ma stagione di colori, senza sosta, di calore che arriva forte, diretto dal centro della terra.
Pozzanghere strane, ogni giorno cambiano la loro posizione, in queste notti fresche, di pioggia intensa e insistente, che mi portano via la memoria.
Alcune non sono trasparenti ma macchiate d’olio di quelle poche macchine che ci inquinano l’aria. Viene a galla e forma un piccolo cerchio, l’acqua si trasforma in specchio, vedo la molletta a forma di ciliegia che mi tiene i capelli stamani.

Mi chiamo Andrea e sono una ragazza. Rinascessi altre mille volte, in altre mille vite, non vorrei essere diversa da come sono, non vorrei essere uomo, non vorrei occupare i miei pensieri diversamente da come sono adesso. Superficiali e pesanti. Dubbi e incertezze costanti. Probabilità e imprevisti, come se il mio paese  fosse un Monopoli da percorrere tappa dopo tappa. Ogni mattina torno all’inizio. Non ricordo quante volte sono riuscita a passare dal Parco della Vittoria, diciamo che i vicoli e le strettoie mi fanno sentire più a mio agio, saranno le prospettive infinite, l’odore di casa, l’erbetta che cresce sui tetti e il sole che si infila in ogni feritoia, i bambini che giocano nei cortili, che non vedo ma sento, il soffritto nelle padelle, le carezze sul volto amato. 
Il mio piccolo paese mi veste, mi completa, mi soddisfa. Anche il colore marrone del fiume che lo percorre, arrabbiato e cupo per le incessanti piogge primaverili, lo sento mio. 

Andrea. Questo è il mio nome. Lo ripeto come un mantra per non scordarlo, almeno questo no. Tra le lenzuola stamattina mi sono innamorata, c’era l’odore della pelle di chi amo. Mi addormento mano nella mano con lui per incollare una forma sull’altra, per sentire la sagoma e imparare a riconoscerla anche quando mi sveglio, spaesata, e cerco un riferimento, uno, che i miei occhi non abbiano gettato altrove.
E allora ho imparato l’odore della sua pelle, che annuso, l’odore che mi arriva fino al cervello e colpisce ogni percettore sveglio. 
BOOOOOM! 
Quindi ricordo! 
Le lenzuola, il cuscino, il ronfare della mia gatta. Le pieghe della notte, le ombre del mattino, le sottili porporine luminose, lasciate dalle libellule anche qui, nel mio mondo, nella nostra stanza. Perchè forse anche noi, io e te, amore mio, viviamo al confine. Dormiamo tra le fate e lavoriamo sopra le pozzanghere.

Un cuscino di ciliegie, rosso e vivo, come il nostro amore, assorbe i nostri sogni.
Sono ciliegie gustose. Da lì comprendo il significato del tuo sentimento e la forza del mio.

Quando scelgo in quale dei due mondi camminare non ho più bisogno di ricordare, ma di sentire la mia vita prendere forma, le mie mani la modellano, vene, muscoli, sguardi, pulsazioni.
Non più ieri, solo modelli a grandezza naturale di un oggi che posso toccare.

Vladimir Kush
Blogger…i tuoi capricci non possono fermarmi, non oggi!
Non quando devo raccontare di questo intero mondo creato da un bellissimo fine settimana. 
E’ un mondo fatto di chiacchiere, sorrisi, abbracci, tenerezza e complicità con una persona (e la sua dolce figlia) meravigliosa. Ma non è che proprio sia facile trovare descrizioni, aggettivi per rimandare la sensazione avuta conoscendo Sandra. E’ per lei che ho scritto questa storia. Per tutto questo mondo, queste catene invisibili di amicizie virtuali che esistono veramente, ogni commento un po’ di nettare, essenziale per la vita di questi blog, così pieni di tutte noi (ps: Monica…te lo dico…qui manchi! La tua assenza mi fa anche scrivere racconti…intervieni, presto!!!)
Per lei e per i miei amici, che mi regalano sempre la gioia della condivisione, dell’amore quello che non chiede.
Per lei, loro e le mie sorelle, le piccole e fragili anime che tengo ogni minuto tra le mie braccia, almeno con il pensiero, per le quali vorrei alleviare ogni dolore e curare ogni sofferenza o fatica ma, visto che non lo posso fare, mi limito a stargli accanto cercando di accompagnarle nel modo migliore che posso.
Per lei, loro, le mie sorelle e per chi mette le ciliegie su quel cuscino con me, promettendomi pazienza e fedeltà, dando significato ad ogni per sempre che pronuncia. Che se poi lo andate ad ascoltare QUI sono contenta (lui = chitarra).

Grazie ?

Testa e Gambe.

standard 15 maggio 2013 65 responses
“Chi unn’ha testa, abbia gambe”

E ve lo dico in fiorentino.
Io corro. Da sempre. Corro in tutto. Nei pensieri, nel lavoro, nell’elaborazione delle cose. Corro ma non sono frettolosa, ho solo un modo di risolvere le mie cose, che siano più o meno pratiche, molto veloce. Come diceva la dolce Sara sulla “tiepidezza” dell’animo, di certo non posso definirmi tale. Sono estrema, esagitata (ben diverso da esagerata), sempre accorta, precisa, attenta.
Trovo rilassamento nel fare cose che normalmente stancano, stressano, annoiano, affaticano. Quando voglio veramente sentirmi “stanca”…scrivo. Scrivo fino a che non finisco le energie utili per fare qualsiasi altra cosa. Ma è una spossatezza con la quale amo convivere, perchè è così integrata in me che non posso, anche volendo, osteggiarla.
Ieri avevo voglia di correre.
La testa, che in questo periodo non mi accompagna frequentemente, dato gli ultimi lieti eventi di cui già siete a conoscenza, era già in vacanza dalla mattina, quando dopo 300 metri mi sono accorta di pedalare sulla strada (invasa dal traffico) invece che sulla pista ciclabile di fianco. 
Le gambe, quindi, le dovevo allenare. Una testa così leggera va tenuta saldamente a terra e con la dovuta cognizione.
OttoKm. Otto meravigliosi chilometri. 
Sudore, salita, respiro cadenzato.
Testa e Gambe sincronizzate, ma pur sempre in due mondi diversi.
E poi Firenze, davanti ai miei occhi. I merli di Palazzo Vecchio, con la sua torre. La lanterna della cupola del Brunelleschi, così vicina che la posso anche toccare. Il campanile di Santa Croce. Più in basso i tetti, le strettoie, i passaggi segreti, i giardini, le piazze della mia città. 
L’arte di correre, l’arte mentre corro. Forse anche per questo mi rilasso, perchè correre in zona piazzale Michelangelo è come dipingere un quadro, ogni volta diverso, a seconda del minuto in cui lo percorri, a seconda del sole, di come batte, di come riflette su San Miniato al Monte di cui percepisci la potenza silenziosa. Ogni passo fatto le mie gambe si caricano di tutto questo. Della leggerezza dei pensieri, della frivolezza della primavera, dei rami che intralciano il mio percorso, della luce e della forza di questa atmosfera così importante, così mia.
E anche se gli occhi si riempiono di moscerini, anche se torno a casa esausta, con le guance a fuoco e i muscoli tirati mi sento B E N E e mi sento di riempire in ogni sua curva, in ogni suo angolo questa parola, così breve ma così bramata. 
Intensa, ecco come mi sento. Intensa e densa.
Dire e fare, finchè morte non li separi. Ogni parola accompagnata da un gesto, anzi due, per non lasciare sola la parola successiva.
In questo B E N E, che scandisco pronunciando ogni lettera come fosse un piccolo menhir, c’è amore. C’è voglia, passione. C’è un dolce al cioccolato preparato per un sorriso, c’è una focaccia impastata dopo gli otto chilometri. C’è la consapevolezza di mille frasi scontate, ma nuove di fronte ai miei occhi: 
Non c’è cosa migliore di vivere senza avere fretta. 
(Non credo ai miei occhi. L’ho scritto davvero? Sono io? Ebbene si…si, sono io, non allarmatevi, non mi hanno messo un coltello alla gola, lo giuro!)
Perchè anche se corro, in tante cose e davanti agli occhi di tanti, so bene cosa sto facendo. 
Perchè anche se corro fisicamente sento la necessità di far si che le giornate si srotolino con il loro ritmo, di dover vivere con il dovuto rispetto dei tempi, di accarezzare ogni istante che passa, di sopportare le attese. Non ho fretta che arrivi l’alba del domani per guardarmi allo specchio e capire se i miei occhi hanno dimenticato un frammento di dolore, per sottolineare che anche questa giornata per fortuna arriverà alla fine. Voglio guardarmi ogni mattina e capire che i miei occhi ricordano questo ieri così recente, che quasi mi sfiora, ma che hanno guadagnato e non perso, che sono fortunata, ma che non ho fretta, nel respirare il futuro (vedi M4ry, le nostre sintonie…). Ho determinazione, ho me stessa, ho questo oggi da vivere, da scrivere con le mie mani, da decorare con le tegole dei tetti antichi di Firenze, da contemplare e accogliere.
E mi piace da morire, questo oggi.
Anche se probabilmente pioverà, anche se tornerò a casa a mezzanotte, anche se il tempo non mi basta mai, anche se ho le gambe stanche e la testa ancora dispersa.
San Miniato al Monte di notte – Maurizio Picci
Ps: non siete mai stati a San Miniato al Monte? Andateci. E’ uno dei luoghi più incantevoli di Firenze, la scalinata per arrivare è una fatica sopportabile, una volta lassù.

Per Te.

standard 12 maggio 2013 76 responses
Con le mani sporche di impasto scrivo su questa tastiera, scrivo e cancello, perchè tutto vorrei dirti senza essere mai banale, perchè tu mi hai insegnato a scrivere, perchè tra le infinite cose che potevi darmi hai scelto le migliori.

UNA FAMIGLIA BELLISSIMA.
L’AMORE & LA LIBERTA’.

Quello che racchiudono questi miei pensieri servirebbero centinaia di pagine per descriverlo a parole, ma basta solo uno sguardo quando torno a casa, che ogni spiegazione diventa inutile.
Ti amo Mammina.

Berry, 4 mesi – Annamaria, 23 anni – MARZO 1983
E perchè non posso che amarti se ogni tanto, la mattina, apro la mail e trovo le tue poesie, per me…

 
l’anima
l’anima non rimane prigioniera, non si fa rapire;
se non vogliamo
essere vivi
forse la lasciamo assopita
per non pensare, non ora
ma lei dorme con un occhio aperto
è più grande di noi
ci rifiutiamo di ascoltarla
ma lei è come un sottofondo musicale
è implacabile
è dissoluta
non si preoccupa di come stiamo
ci avvolge come un velo di sonorità
espellendo i vuoti di cui abbiamo paura
nel nostro inerme palato;
e noi ,storditi
la rivomitiamo
in braccio al cuore
cerchiamo lì
il suo sollazzo……….no
un chiaro no!
l’anima rimane con noi sempre
e ci tormenta perchè, se abbiamo dato il cuore
lei non vuole essere venduta
vuole farci pagare a caro prezzo il fatto
che rimaniamo con lei sola, sempre, alla fine….
ecco..io a giorni
cerco di trattarla bene
l’accompagno dove lei vuole
poi, di nascosto
giro le parole e guido il carro
così lei, mesta mesta, torna e
mi riprende in mano….

Azzurro.

standard 9 maggio 2013 41 responses
Scriverei una poesia per ogni venatura dei tuoi occhi.
Che poi sono uguali a molti altri. Ma sono i tuoi.
E guardano me. 
Fino al più piccolo granello lasciato cadere abbandonato, in fondo ai miei tormenti.

I tuoi occhi così azzurri.
Che fanno riaffiorare le ferite, solo per ricordarmi quanto adesso siano lontane. 
Solo per sottolineare quanto si cammina, prima di sentirsi a casa.

E’ che non c’è un colore che io posso descrivere, se penso ai tuoi occhi.
Se non al colore che non avevo mai visto.
Quello che mancava, e ora c’è.
Mark Owen – Stars (2013)

Gonna build a rocket
Anytime you want it
Paint it pretty colors
Gonna light it up and take us to the moon
That’s what I’m gonna do

Se nasci tondo…

standard 7 maggio 2013 51 responses


Elena Vizerskaya – fotografa/artista ucraina

Se nasci tondo…vuoi un mondo soffice.
Vuoi un mondo senza spigoli, nel quale appoggiare schiena/testa/gambe e lasciare le braccia scendere a penzoloni, come se il bordo fosse il perimetro di una mezza luna.
Ciò che ti cambia sono le circostanze, gli avvenimenti, quello che fa diventare il percorso lineare, con le pareti ovattate, un sinuoso dispiegarsi di dettagli, poi impervio, poi pieno di quegli spigoli ricacciati via.
Se nasci tondo e ti trovi a vivere in un dodecaedro stellato, la vita non è proprio agevole.
Ti agganci ad ogni curva, hai graffi, segni sul corpo, evidenti e in superficie, difficili da mascherare come una cicatrice sul viso. Sono uncini quelli che ti acchiappano, la stoffa si allunga, la pelle si strazia, quando torna indietro, quando si lacera, è imprevedibile. Ma il risultato del camminare è questo. A volte si incontrano rovi, a volte solo erba fresca, che ti bagna di rugiada le caviglie. Cogliere more tra le spine nel mondo tondo non è reale, è immaginazione, è sogno. E la vita è altro.

Se nasci tondo la tua vita diventa flessibile, così che nessuno spigolo possa mai condizionarti veramente.
Fino a quando non incontri qualcuno che ti chiude in un piccolo cubo.
E questo qualcuno effettivamente ti assomiglia così tanto che sembri quasi tu. Un riflesso dotato di indipendenza, di chiavi, di lucchetto, che ti sigilla dentro un cubo soffocante, rosso cremisi sfumato con il blu.

Per uscire una sola alternativa.
Imparare a respirare negli spazi angusti.
Scegliere una sola chiave.
Inserirla nella toppa, piccola, come fosse una miniatura.
Capire il corretto senso per sbloccare il meccanismo.
Girare la chiave.
Solo così il riflesso scompare, si diluisce ogni chiavistello che scatta, fino a dissolversi. Rimani solo tu, è vero, tu con te stesso, con le tue armi e i tuoi difetti, la solitudine di ogni passo e la paura di aprire quella piccola porta del piccolo cubo in cui ti eri abituato a stare.
Ma la luce che entra da fuori non è più quella di un mondo rotondo.
È un mondo di mille specchi, di cerchi concentrici, di colori. Un Giardino dei Tarocchi di infinita meraviglia, un sottobosco profumato di funghi e ciclamini selvatici, dove non è più necessaria alcuna forma geometrica ma solo sviluppare i sensi e ascoltare se stessi, il proprio cuore, l’istinto e la ragione, l’unione di tutto. 
Questo è il mondo vero, sensuale, lussurioso e lussureggiante, cosmico, unito, ridondante e abbondante.
E’ il mondo che ho sempre voluto, quello dove non si deve chiedere niente, non perchè sia scontato ma perchè è un flusso continuo, senza limiti, spontaneo.
Quindi esci dal cubo e ti lasci travolgere. 
Confini e argini abbattuti, ogni limite sconvolto.
Noi abitiamo improvvisamente un mondo diverso. Pieno di luce, senza inganni, non c’è spazio per nascondersi. 
Il domani è sconosciuto ma la certezza che la vita rende le cose irripetibili rende tutto così infrangibile adesso. 

Sono presuntuosamente, schifosamente, vergognosamente  
f e l i c e

——————————————–
Piccola osservazione per tutte/i voi: Grazie
Fatene ciò che volete del mio grazie, però GRAZIE davvero.
E faccio anche un nome…anzi due. Mary e Roby
Semino…ma quanto ti avrò rotto le balle in questi mesi? Grazie.
Mezzamelina tu sai, non devo aggiungere altro. Quotidiano amore il nostro, puntuale 9-18. T’amo.
(Elle tesoro, grazie per avermi fatto scoprire quella meravigliosa artista!)

ALIENS#7

standard 6 maggio 2013 36 responses

Io ho visto Saturno.

Vestiva i suoi anelli, pallido,
come io vestivo questa alba, leggera.


Caravaggio accoglimi in questo fascio di luce.


Io, la tua musa, campo magnetico, ti attraggo nella mia rete, ti abbraccio nel mio panneggio.


Illumina i suoi anelli
Costringi il mio cammino
Rendilo stabile.
Scolpito.



(progetto ALIENS di Berenice&Maurizio)

I giorni dell’amore.

standard 2 maggio 2013 48 responses
Sostenuti dal vento del sud, caldo, desertico, portatore di colorate piogge di primavera, questi giorni si annodano stretti.
Forti alleanze terrestri e marine li accompagnano, seguendo logiche parallele senza ritorno o spiegazione. Ed è ciò che è senza ritorno che io percorro.
Svuoto ogni zavorra dalla sabbia, non la intrappolo tra le dita ma si sgrana, benevola e complice, in un sottile strato caldo di ricordi.
In questi pendii verdi e scoscesi, avidi di ogni mio passo io mi celo, solo per chi non vuol vedere. Di colori della natura ho le mie vesti ma non mi volto indietro. Solo la vetta nel destino del mio passo svelto.
La vetta dove incontrerò i tuoi occhi.
Che riconosceranno i miei tra i rami incastrati del labirinto.
Tu che non hai bisogno di seguire nessun percorso per arrivare a me, tu che percepisci il mio calore, la mia densità, anche a distanza, il mio odore, tu che sai, che conosci, che perdoni i miei difetti.
Tu, mia meta, mia metà, mia vetta.
I giorni dell’amore si annodano stretti.
Solo noi testimoni di noi.
Che siamo quel sapore che mancava.
Contemplo la baia di Pozzuoli e vedo la pace.
Pozzuoli – vista sul golfo