UN LAGO DI GHIACCIO [qualcosa che affiora]

standard 23 ottobre 2019 Leave a response

Scrivere è sempre più difficile.
Scrivere senza cancellare, scrivere senza sbagliare, scrivere ed essere originale.

Ebbene, non sono niente di tutto questo. Sono un errore costante, una valanga di banalità condite di frasi ad effetto e superficialità.
Sono quella che non si ferma mai, che resiste, persiste, anche a costo di rimetterci ogni singola energia.
Sono quella che non ha più parole per parlare di se, di ciò che succede dentro , delle rivoluzioni quotidiane, sopite sotto lo strato della fretta e delle priorità.
Gioco a nascondino per non farmi trovare, per non soffrire, per non vedere quello che mi perdo.
Lo faccio anche quando ho tempo [cioè, quando?]. Mi nascondo per non schiacciarmi di impegni.

Apro e chiudo questa pagina da giorni, sperando che le idee migliorino, l’ispirazione salga, l’impeto non si mangi le parole che mi sento traboccare dalle mani. Invece tutto rimane immobile. Intatto, come la lastra di ghiaccio sopra un lago, d’inverno. Nascosto tra la nebbia, le foglie cadute, con uno strato alto di brina e di freddo. Non creo, non ho quel lampo che spacca il ghiaccio e lo fa crepitare, lo scalda, lo scioglie, lo rende vulnerabile.

Mi coccolo, in questo ghiaccio privo di sentimenti. Mi sento inattaccabile. Proseguo, perché non ho alternative.

[foto presa QUI]

[sento affiorare qualcosa, sotto al ghiaccio. Se non sono lampi da sopra, sono tumulti sotterranei, voglie che attendono da tempo, nuclei che ribollono di sensazioni che lascio sopite ogni giorno. Sento che sale, che bussa da sotto, rumori, parole, ticchettare del tempo. Mi lascio cullare anche da questo e, per una volta, aspetto.]

(ri)fiorire.

standard 13 giugno 2019 2 responses

La primavera che non esiste. Un alito di vento troppo freddo, un soffio di caldo troppo intenso.

Proprio ieri mattina cercavo tra le mie foto qualcosa che interpretasse questo mio momento, in cui sento la forza di nuovo scorrermi nelle vene, in cui sento la vecchia e desiderata energia che mi investe, in cui voglio coinvolgere chi amo. La mia innata voglia di amore, di pensiero positivo, di sorrisi e armonia. Ho trovato questa foto, di qualche tempo fa, di un bellissimo papavero appassito ma resistente, cosa insolita per questi fiori così labili.

A volte (erroneamente?) ci sentiamo invincibili, inarrestabili. Ci sentiamo sorretti dalla forza di qualcosa di superiore, di potente. Ci sembra di esistere non solo per la nostra presenza reale, ma perché questa presenza è riconosciuta da altre virtuali, ma più che mai tangibili. In questi anni ho avuto la fortuna di constatare sulla mia pelle quanto forte sia questa virtualità. Quanto forti siano i legami, le esperienze, le emozioni vissute. Ci ho buttato dentro i miei figli, mio marito, la mia famiglia. I rapporti, le strade, le storie si sono intrecciate, formando delle lunghissime catene di sentimenti credibili e manipolabili. Ci ho creduto quando nessuno ci credeva, ci ho sperato quando tutti remavano contro. Ho anche combattuto per battaglie perse, mi sono sentita offesa e vilipesa senza alcun motivo, mi è stata sbattuta la porta in faccia. Insomma, virtuale è solo un aggettivo poco attendibile, perché tutto si può dire tranne che sia così.

In questo papavero così stanco voglio riporre la mia fiducia. La speranza di oggi. Il bisogno di ritrovare qualcosa che si è perso, che mi faceva sentire potente. Mi faceva sentire riconosciuta. Libera. Noi esseri umani siamo talvolta perversi, molto egoisti, sfacciatamente deboli. Pieni di limiti e parole, quando servirebbe un momento di silenzio e riflessione.

Oggi mi sento come se mi avessero strappato via qualcosa di importante, ingombrante, ma in modo giusto. E libera, no, non mi sento affatto.

(Passerà, si, passerà sicuramente. Lasciando lo strascico come tutte le cose che si amano senza remore, aprendo cuore, anima e braccia).

A volte rifiorire è una scelta saggia. Basta saper aspettare la giusta primavera.

SHALLOW.

standard 25 febbraio 2019 Leave a response

In superficie.

Sto in superficie, come spesso faccio, quando non riesco ad immergermi per vivere. Quando la quotidianità mi divora, quando mi sento troppo poco per essere me stessa. Quando la voce che ho  dentro non riesce più a venire fuori e mi limito al minimo indispensabile per andare avanti. Quando mi relaziono con gli altri e mi accorgo di essere tremendamente limitata, bloccata, disinteressata e poco coinvolgente.

Ma dove sono finita? Mi sono persa nel sonno e nelle lenzuola del mio letto, che frequento con scarsi risultati? Dov’è quella persona brillante e socievole che ero un tempo? Forse chiedo troppo a me stessa, ora non ne ho le energie, il tempo, lo spazio. Forse dovrei solo, davvero, limitarmi alla velocità di sopravvivenza. Fare il necessario, stare a galla quanto basta per respirare. Ma è una nuova sfida per me, una sfida che non conosco, un movimento confinato tra sbarre che non amo avere, soprattutto nella mia testa.

Cosa posso fare, dunque. Lista. Fare una lista di priorità. Cosa è urgente, cosa è importante, cosa lo è più di altro. Stabilire un ordine, come faccio materialmente (e non) ogni giorno della mia vita. Come faccio nel lavoro. Al primo posto ci sono IO. Se non trovo tempo per me, non può esistere nient’altro. E si sa che l’egoismo è uno dei pilastri della mia vita.

Quindi il mio manuale di sopravvivenza prevede che per me e i miei figli ci sia, da qualche parte, la serenità. Così come per le persone che amo, tutte. La serenità è un filo d’oro che percorre le nostre vite, che quando ci batte il sole si illumina e rischiara anche le giornate più difficili. Tipo quelle che ti svegli alle 4.40 e poi non riesci più a dormire. La serenità è la certezza che dentro di noi c’è la pace. Che ci sentiamo amati e ci amiamo. La serenità è l’armonia dei sensi. Della vista che sfiora le curve di un meraviglioso quadro in un museo, dell’olfatto che affonda in un prato di fiori selvatici, del tatto che manipola i gommini di un gatto, del gusto che si riempie la bocca con una fetta di cocomero, dell’udito che si perde tra gli accordi della canzone preferita.

Che oggi, per me, è questa.

Tell me somethin’, girl
Are you happy in this modern world?
Or do you need more?
Is there somethin’ else you’re searchin’ for?
I’m falling
In all the good times I find myself
Longin’ for change
And in the bad times I fear myself
Tell me something, boy
Aren’t you tired tryin’ to fill that void?
Or do you need more?
Ain’t it hard keeping it so hardcore?
I’m falling
In all the good times I find myself
Longing for change
And in the bad times I fear myself
I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now
Oh, oh, oh, oh
Whoah!
I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now

SEI MINUTI.

standard 16 gennaio 2019 Leave a response

C’è sempre un count down che regola le nostre giornate. Dall’inizio alla fine. Dal primo suono della sveglia fino ai rintocchi delle palpebre che si chiudono.

C’è qualcosa in questi momenti che mi regala l’adrenalina dell’impossibile. Del “ce la faccio anche se non ho tempo”. Sei minuti, il tempo che mi separa dalle 9.00, il momento in cui devo entrare ufficialmente a lavorare, anche se sono già in ufficio da qualche decina di minuti.

Sei minuti, il tempo che ho per me.

Sei minuti in cui vorrei dire che sono carica di parole, ma non abbastanza per scrivere, per riportare qui quello che sono le mie giornate, i veli che nascondono i miei sorrisi e le mie paure. Non abbastanza per lasciarmi andare, per sotterrare quel controllo che mi serve per tenere tutto a bada, quelle redini per domare le mie rivoluzioni.

Sei minuti in cui mi sparo musica nelle orecchie per resistere alla tentazione di chiacchierare, per focalizzarmi, almeno una volta, su di me. E basta. Ma è così difficile.

Sono cambiata, non ho più i riferimenti giusti, gli spunti, i ritmi.

Ma forse va bene così, se non per me, per i miei figli. Ci sono delle cose che sono necessarie. E, si sa, non mi tiro mai indietro.

– foto di Berenice Abbott –