Mi piace osservare i nei dei miei figli.
Elia ne ha uno sopra la bocca, Livia sul naso. Sono piccoli, bellissimi. Sono il loro piccolo segno di riconoscimento, nel mondo. Anche io ne ho molti, ho anche delle lentiggini, che mi fanno apprezzare un po’ di più il mio naso scomodo.
Questo settembre arriva e brucia. Brucia nella mia testa. Un piccolo falò, un puntino come un neo, un cerchietto imperfetto e frastagliato che sta lì, quasi immobile, ma lo vedo. Quella è la mia speranza, la mia battaglia che ancora devo combattere, è la concentrazione delle mie paure. La consapevolezza di voler essere qualcosa che non sono mai stata, di liberarmi dalle sicurezze e buttarmici dentro, a questo falò appena nato, senza più sottrarmi al calore della paura. E come fosse un bozzolo mi ci raccolgo dentro, in fondo la paura è come l’ansia, serve, ti protegge anche, ti aiuta, ma non posso più usarla come scusa, non a 40 anni, non quando insegno ai miei figli ad essere coraggiosi. Non quando ho il dovere di guardarmi allo specchio e riconoscere quella Berenice un po’ battagliera e un po’ vigliacca, che si è sempre curata le ferite con le sicurezze delle proprie scelte.
Forse è arrivato il momento di essere solo battaglieri, cercando le strade incerte e vedendo solo orizzonti sfocati. Forse non è più il momento di procrastinare, perché è quello che sempre critico ma in fondo perseguo anche io, adagiandomi in una quotidianità che non mi corrisponde più.
Ho sempre percorso strade lunghe ma libere.
Adesso vediamo se, percorrendo itinerari incidentati, continuerò a camminare su strade libere.
A comporre le immagini partendo dai frammenti, invece che dall’insieme. Tanti piccoli nei di settembre.