LA MIA RIVOLUZIONE. LENTA.

standard 25 novembre 2016 8 responses

“Il tempo mi ha cambiato un po’
Il tempo mi ha cambiato un po’
Una cosa sola non cambia mai…”

Trentaquattro anni. Un po’ meno me ne sento addosso, non perché mi sia mai mancata la vita da vivere, ma forse solo perché ne vorrei vivere ancora di più, ogni giorno.

Trentaquattro anni e un giorno, al quale si sommano i pensieri e le consapevolezze di un lungo e importante anno trascorso.

Mi faccio gli auguri, i complimenti, sono stata brava. Non sono tanto fan dell’autocompiacimento, anzi, sto sempre a cercare il mio difetto, il mio errore, il mio problema. Ma no, non è stato un anno semplice. Sono tornata a lavoro dopo i mesi di maternità, sono sopravvissuta a svariati virus dolcemente portati da mio figlio, sono stata drammaticamente assonnata e infelice, impaurita, scossa, in ansia. Ho conosciuto persone meravigliose, molto spesso anche inconsapevoli di esserlo, ho passato giorni felici e ricchi, sotto il sole, sotto la pioggia, sotto l’abbraccio confortante di un amore che non manca mai, quello del mio compagno di vita. Ho trascorso momenti di rabbia e di lotta, con me stessa e non solo, momenti in cui desideravo fuggire e cambiare tutto, stufa di alcune prepotenti banalità quotidiane. E’ stato un anno fatto di 365 giorni più uno. In cui ho imparato, di nuovo, l’amore. In cui ho rimodellato per la milionesima volta i miei approcci troppo aggressivi e insistenti (chissà che sia stata la volta buona), ho ripensato alle amicizie, quelle vere, che voglio trattenere, nonostante tutto. E a quelle che invece basta così.

Me la sono cavata. Essere madre, moglie, amica, collega, donna nel modo in cui io pretendo da me stessa di esserlo non è semplice. Ma è una scelta, tra le priorità più pungenti, quelle di cui hai più bisogno…scegli e te ne prendi cura. Ho scelto me stessa, sopra a tutti. Questo forse non mi è stato perdonato, ma non importa, le strade che si percorrono sono belle perché sono a senso unico, ma la vita lascia sempre spazio alle sorprese, alle ri-scoperte, agli abbracci vecchi ma nuovi. Ho scelto di essere madre, di AMARE profondamente questo ruolo, nonostante i sacrifici, i momenti NO grandi come una casa, la voglia di lamentarsi che ti aspetta sempre dietro l’angolo. Ho scelto l’amore, come sempre, al primo posto nella mia vita.

Ho scelto di cliccare “mi piace” a tutti i post di auguri su Facebook, leggendo ogni parola, soffermandomi su alcune frasi, dediche, passando veloce su altre.

Ho scelto di cambiare, cambiare di una rivoluzione lenta e costante. Basta con le paure, con la solitudine, con l’imposizione della cordialità se non ne ho voglia. Basta con la diplomazia. Con le guerre fredde inutili e senza sbocchi.

La mia rivoluzione. Lenta. Include tutto. Anche te.

“Non ci fossi stata tu
Io oggi come sarei
Non ci fossi stata tu

Oggi non so com’ero vent’anni fa
Oggi non lo so più”
1993 – Boosta

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La mia prima scelta

#mercoledì BIANCA NEVE

standard 9 novembre 2016 8 responses

Tiepidi, tra le mani
Purezze, spine, domani.

Bianca Neve
Petalo sfuggente
Ricordi?
C’era il mare chiuso in un vaso.

Lo ascoltavamo in silenzio.

Il suo fragore ridondante, l’odore.
Bianca Neve sciogli il tuo candore.
Confondi il tuo bianco col mare.

Mary Pellegrino, Dafne’s Corner, foto inedite.
Berenice Boncioli, Mirtillo & Lampone, parole inedite.

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ELASTICI

standard 27 ottobre 2016 3 responses

A volte si custodiscono delle cose che non si conoscono.

Sono sconosciute le forme, il contenuto, le intenzioni. Si custodiscono perché siamo persone protettive, per istinto materno o per casualità, per attenzione o egoismo, per paura, ansia o anche solo per distrarsi un po’.
Ieri ho raccolto una piccola foglia, dai confini frastagliati, l’ho poggiata lontano dalle mani distruttrici della piccola creatura che mi illudo di educare. L’ho protetta, senza conoscerla. Poi l’ho persa, ovviamente, come spesso mi succede nella baraonda delle giornate senza ne’ capo ne’ coda in cui mi tuffo, ma non per questo l’ho dimenticata. Questo faccio nelle mie giornate. Cerco.
Di non dimenticare, di non correre troppo o troppo poco, di esserci, presente, vera, reale, non quella specie di proiezione di me che non riconosco.

A volte custodisco me stessa, in una bolla fragile ma, a suo modo, resistente e stabile. Mi proteggo, ho bisogno di confini tangibili, di mani da trattenere e di occhi che supplichino attenzione. Mi proteggo da facili ostacoli, preferisco quelli più complicati. Me li lascio la notte, da sgranocchiare, perché passano meglio le mezzore di veglia accanto ad un figlio che non si arrende al sonno (quasi) mai.

Insomma, pare tutto un gioco di elastici. Elastici i sentimenti, elastico il tempo, elastiche le sensazioni vitali che mi trattengono dall’esagerare. E allora mi alleno ad essere elastica, a capire il significato dei cambiamenti continui, dell’imprevedibile consistenza delle giornate. A capire cosa è il movimento di fondo che ci rende così flessibili, ma non meno intensi, di un piccolo arco di bamboo.

Siamo elastici. Al mondo per modificarci e imparare.

Imparare ad essere genitori elastici, qualche esempio? Ok. Ad esempio: prima piangi perché lui piange, quando lo porti al nido. Poi piangi perché vorresti restare con lui, al nido. Ti piace vederlo crescere, interagire. Prendere i morsi dagli altri bambini, perché no, sapersela cavare.
Prima ti abitui a non dormire. Poi qualche ora. Poi tutta la notte. E poi si ricomincia da capo.
Prima ti abitui ai nuovi orari. Macchina. Asilo. Macchina. Lavoro.
Poi altri ancora. Macchina, asilo, autobus, lavoro. Corsa affannosa.
Poi è estate, bye bye Asilo.
Poi la baby Sitter.
Gli amici. I cazzo di virus. I dentini. I vaccini. La febbre.
Ovunque hai deciso potesse collocarsi il tuo piccolo, inutile, insignificante spazio…già non esiste più. Azzerato. Cancellato.

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Non è sufficiente? Lo so. Non credo lo sarà mai, perlomeno non sarà così per tutti. Ci sarà chi non vorrà o non potrà mettersi alla prova, come genitore elastico. Ci sarà chi si sentirà arrivato o chi non capirà mai le proprie potenzialità. Tra un affanno e l’altro, componendo il puzzle di ogni giorno, mi sento a volte spezzata a volte fortissima. Non esiste un elastico solo, nella mia scatola. Ogni giorno ne indosso uno diverso, per mantenere tutto in forma adeguatamente e il risultato è che, ovviamente, di adeguato non c’è mai niente.

Ma oggi è così che va, oggi mi sento adeguatamente me. Protetta al punto giusto. Mamma elastica e stravolta come piace a me.

Ps: non credo che la questione riguardi nessuno di voi lettori (se ancora ci siete). Però sappiate che non mi piace come chiudo i post. Inizio con un tenore e termino in discesa libera, senza criterio o legami, senza alcun senso a volte. Ma…va così. E’ il mio posto questo. Voletemi bene comunque.

#mercoledì INTENSITA’

standard 12 ottobre 2016 6 responses

Io sono il tempo

Tu sei foglia rossa di calore d’autunno

Io scorro incessante

Tu ti trattieni, densa

Io mi lascio spesso vivere

Tu decidi, scegli, ti fai raccogliere.

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Ci sono dei #mercoledì magici, quelli con la M maiuscola, in cui lavori, scrivi, progetti, ti innamori.
Non tutti i giorni sono uguali, non da quando ci conosciamo, da quando le nostre vite hanno preso la stessa direzione e si sono scontrate.
In uno di questi folli scambi di idee, parole a vanvera, a volte forti, a volte leggere, abbiamo detto “Si! Facciamolo”. Ed eccoci qua.
Sarà l’ennesimo scambio del web, foto, parole, intuizioni pulite e senza futuro. Sarà l’ennesimo, certo, ma è il nostro. Il nostro modo di comunicare.

Mary Pellegrino, Dafne’s Corner, foto inedite.
Berenice Boncioli, Mirtillo & Lampone, parole inedite.

Tutto questo è il nostro #mercoledì.

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QUINDICI ANNI.

standard 23 settembre 2016 Leave a response

Basilica di San Lorenzo

15 anni. Sono 15 anni che godo di questo cielo, di questo orizzonte, che si sagoma di architetture vive, interessanti, potenti, a volte delicate e sconosciute.
15 anni che sei la mia città, Firenze. Quanto mi hai visto cambiare? Quanto mi hai accompagnato tra i miei vicoli della vita? Abbiamo scoperto insieme coraggio e paure, molte lacrime che ora mi fanno sorridere, molti sorrisi che ora chiamano malinconia.
Ero una bambina. Ora?

Ora cammino attenta e guardo avanti. Ora [dovrei dirlo] sono una donna. Quando sono arrivata qui dovevo compiere 19 anni, adesso manca poco a 34. E se gli ultimi 3 anni sono stati una rivoluzione, tutti quelli prima sono stati la base, per questa rivoluzione. Quelle lacrime, le cadute e le ricadute, gli infiniti errori, le serate, i  baci, i trascorsi felici, gli amici. Gli Amici. L’amore, gli esami, le chiacchiere all’università. Il peso delle cose, che varia, che muta, che cambia. Il peso delle parole, dei momenti. L’importanza di tutto, che poi diventa niente, che di nuovo si trasforma. L’università. Non ci capivo niente, all’inizio. Andavo a lezione, prendevo appunti, non sapevo studiare. Ero sprovveduta, spaesata, senza forma. Da un piccolo paese di 1000 abitanti, da una provincia di agricoltori e pianure infinite per me, Firenze, era pura magia. Mi confondeva, mi faceva sentire piccola ma importante, sopraffatta dall’energia che sprigionava. Con la sua arte ovunque, così dirompente, importante, i primi sei mesi volarono senza nemmeno farmi accorgere di ciò che stavo facendo. E non che dopo sia andata meglio, ho solo migliorato qualche dettaglio, piano piano.

Ora [non so se lo sono] sono una mamma. Una mamma che a volte non ce la fa, che corre, che lavora, che lava/non stira/cucina/si arrabbia. Una mamma ogni giorno nuova, che si innamora anche delle difficoltà, che dice GRAZIE, ogni giorno. Grazie per queste vite. Sono una mamma moderna ma non troppo, attaccata alle convenzioni ma non troppo, sola ma non troppo, che ama e non è mai troppo. Una mamma incasinata, che vorrebbe più tempo per ogni giornata, per vedere EliaMirtillo crescere, in tutte le sue direzioni possibili. Una mamma che ha imparato la pazienza, suo malgrado e con tanto sacrificio.

Ora sono [ancora] quella bambina. Che non sa come ha fatto ad arrivare fino a qui. Che se ci penso adesso mi tremano le ginocchia. Perché la forza di quella bambina mi ha fatto fare tante cose. Andare avanti, lavorare sempre, nonostante le difficoltà economiche, studiare, studiare tanto, accettare me stessa, combattere, vincere o perdere non importa, comunque combattere. L’ingenuità, questa cara amica fedele che sempre mi accompagna, che mi aiuta a prendere un sacco di fregature ma, nonostante tutto, sapere che esisto. Che posso guardare la vita e sentirmi pulita.

Ora sono Berenice. Provo a vestire bene questo nome così importante, per me che sono così piccola. Firenze, ad esempio, mi calza a pennello; è una città incasinata, piccola e piena, controversa e talvolta antipatica. Vivere qui è abbastanza complicato ma lo considero un privilegio. Soprattutto quando, ogni mattina, nonostante la fretta, il sacrificio costante, i pensieri che sbattono uno contro l’altro, il sonno e la voglia di essere altrove…lei ti sorprende. Per Firenze 15 anni non sono niente, splende da secoli, ma per me sono stati una fetta di vita meravigliosa e, per la sua presenza costante, la ringrazio. Qui mi sento a casa.

LE COSE DI CUI NON HO BISOGNO

standard 23 agosto 2016 10 responses

Scrivere. Devo scrivere altrimenti quello che ho in testa e la frenesia delle mani se ne andranno.
Lasceranno il mio corpo stanco e assonnato.
Mentre faccio la doccia penso questo. E poi il tempo svanisce, si frantuma in mille pezzi per le continue priorità ribaltate. Qualcuno che piange e qualcuno che non sa consolare, continui solleciti e richieste. Sono stanca.
Stanca di essere indispensabile, stanca di ringraziare, stanca di dovermi affidare a qualcuno ma non poterci mai veramente contare. Stanca di essere così, perennemente rincorsa dal senso di colpa, con quella sensazione di essere sempre in debito, mai in credito. Un debito mai concluso, un mutuo pieno di interessi e scappatoie, stati d’ansia e futuro sconosciuto.
Sono stanca di questa precarietà, di domande senza risposta, senza possibilità di ordine.

Vorrei un attimo di silenzio, un attimo di solitudine.
Perdermi tra le strade senza meta dei miei pensieri, navigare nella moltitudine dell’inutile, chiudere gli occhi e non sentire più, ne’ con il cuore ne’ con le orecchie.
Silenzio e solitudine, due cose di cui (generalmente) non ho bisogno.

Non ho bisogno di progetti complicati.
Di scale ripide e fragili argomenti.
Ho bisogno di forza, quella che scorre nei muscoli del collo e delle braccia, quella che scorre nel caldo del sole.
Non ho bisogno di cioccolata amara.
Non ho bisogno di previsioni meteo rassicuranti. Di fardelli altrui, di ipocrisia, di approcci faticosi.
Ho bisogno di sincerità leggera, sorrisi, incontri casuali e rilassanti.
Di arte, di bello.

Attesa, Opera nr.22 (1)

Attesa, nr. 22 – fotografia di Mimmo Jodice

Di sbagliare, senza essere peccatrice.
Di vagare, senza precisa meta, rischiando di cadere.
Non ho bisogno di processi alle intenzioni, di malafede e sguardi inquisitori.
Ho bisogno di mangiare la pizza per la strada, a Napoli. Sentirmi parte di qualcosa, visitare un museo senza tempo che scade, senza orologi che vincono incontrastati ogni momento della giornata.
Di rendere possibile l’impossibile. Carezzare le mani del mio amore, levigando le sue paure e le mie.
Non ho bisogno di essere sempre mamma, perché prima di quello sono anche una persona, un bianco e nero spietato come le foto di Jodice (di cui mi sono innamorata profondamente dopo aver visto la sua mostra ampissima e curata con molta maestria al MADRE di Napoli).
Non ho bisogno di sicurezze. Nemmeno di tempo.
Ho bisogno di respirare fuori dal caos, ogni tanto. Apprezzare la mia vita, quello che ho fatto, quello che ho scelto di lasciare indietro. Le strade difficili che ho intrapreso senza rendermene conto, l’incoscienza che mi ha sempre aiutato a FARE. Senza pensare al POI.
Ho bisogno di riconoscermi anche quando non riesco, anche quando non raggiungo, anche quando mi sembra sempre poco.

Donne, mamme, amiche. Ma anche amici, perché no. In fondo è un pensiero che vale per tutti.
Riconoscetevi.
Non importa cosa facciate, dove passate le giornate, dove lasciate scorrere i minuti del prezioso tempo della vostra vita. Ma riconoscetevi. Guardatevi le mani, i calli, le rughe, le gambe stanche. La pancetta magari un po’ così, il naso storto. Ascoltatevi. Ascoltate le voci nelle orecchie, anche quelle più ruvide, quelle più stridule. Riconoscetevi quando fate la spesa, quando andate a correre, quando fate la pipì. Nelle cose più quotidiane, banali, ripetitive. Voi SIETE.
Respirate, a fondo. Fino a che l’aria tocca il fondo dei vostri polmoni e decide di uscire. Lasciatevi andare.
Riconoscetevi.
Questo è quello di cui, oggi, ho bisogno.

SI. SI PUO’. #Marta4Kids

standard 13 giugno 2016 6 responses

Tutto perde senso.

Tutto è relativo.
Tutto è relativo, se succede agli altri, e non a te.
Tutto è costantemente in circolo, senza pietà o distinzioni.

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Un direttore d’orchestra ingiusto e poco compassionevole tiene le fila delle nostre vite, facciamo in modo che ogni giorno sia il meglio di quello che possiamo fare.

Avere equilibrio è una delle cose più difficili, per me. Equilibrio tra le cose veramente importanti e quelle quotidiane, che diventano necessarie anche se, in realtà, sono sono realmente essenziali. Ma tutto ha il suo posto, nelle nostre vite. Sta a noi trovare le priorità, dare la voce, regolare il suo volume. Se fossimo tutti uguali, non esisterebbero i colori che fanno bello il mondo.
Ecco, comunque, ora equilibrio non ne ho. Sono su un’altalena, dondolante tra il vuoto e il pieno, quelli dell’anima. Sono in tumulto, come le nuvole in questi giorni, cambiano colore da un grigio scuro intenso ad un bianco candido innocuo. Ho bisogno di respirare profondamente, di alzare il volume a quelle voci che parlano in fondo al mio cuore, lasciandole libere di darmi fastidio, di agitare le mie acque calme, quelle del conosciuto. Ho voglia di scuotermi, di risvegliarmi da questo torpore dato dalla routine, ho voglia di affaticarmi fino a dormire senza sogni, ho voglia di mettere e togliere pesi, dando nuovi spazi e nuovo respiro a qualcosa di più viscerale. Scopro carte di una me stessa ancora nuova, e mi piace. Qualcosa che mi mette alla prova, finalmente, di nuovo, con me stessa. E non solo come mamma. Ma come persona.
Perché ogni giorno voglio sperare di aver dato il massimo. Di aver sorriso, di aver fatto ciò che amo, con chi amo. Di non aver lasciato niente al caso, oppure tutto.
Perché la mia vita è un dono. Così come lo sono tutti i passi che incontri sul suo sentiero, come fossero frammenti di magia. E questo sentiero mi ha portato a scoprire così tanto che è difficile, anche per una come me, trovare le parole per scriverlo.

Tutto questo per dire che ti ho conosciuto, Chris.

Ho conosciuto una persona normale, un uomo normale, un viaggiatore, un camminatore, un bellissimo ragazzo che porta sulle sue spalle un dolore soffocante. Quelli che non lasciano scampo e ti strappano dal quotidiano, dal conosciuto, dall’essenziale di cui parlavo poco fa. Ti strappano dall’equilibrio e da “normale” ti tramutano in “speciale”. E non ne puoi fare a meno, è un investimento dal quale non ti sei potuto sottrarre, tuo malgrado. Non è una scelta, è una conseguenza indesiderata. Tu l’hai trasformata in opportunità. L’opportunità di fare qualcosa che sollevi il peso della tua sofferenza, aiutando gli altri. Ecco, io di fronte a tutto questo, perdo le parole. Perché siamo così piccoli, ci crediamo impotenti, ci limitiamo al nulla. E così non va, perlomeno per me, non va più.

Grazie Chris. Perché il tuo bagaglio si è fatto anche un po’ mio, nostro. Perché la tua umiltà, il tuo sorriso, i tuoi sentieri inesplorati, sono adesso anche i nostri. Grazie perché hai trasformato la vita non solo a te stesso ma a molte persone che hai incontrato e incontrerai, aprendo nuovi orizzonti non solo per te ma anche per chi ha avuto modo di guardarsi dentro con i tuoi occhi. Troppo spesso ci dimentichiamo di fermarci. Di trovare nuovamente il nostro equilibrio, di ascoltarci. Conoscerti, ascoltare le tue parole, la tua storia, mi ha illuminato un nuovo tratto di vita che spero di essere in grado di percorrere.

Tu sei una persona normale, Chris. Normalmente speciale. Grazie per essere passato di qui. Per esserti dato questa opportunità, perché lo hai fatto anche per tutti noi.

Per chi ancora non lo conoscesse… qui una pagina del suo Blog di Viaggi, questa la pagina Facebook della Onlus e qui sotto le coordinate se vorrete donare qualcosa alla ricerca per la fibrosi cistica

Intestatario : MARTA4KIDS ONLUS

iban: IT48X0200860260000104117188

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Chris, Dino, Elisabetta, Berry…e la Fluffosa <3

SILENZI E RINASCITE.

standard 26 maggio 2016 4 responses

Il panico è un cappio. Un cappio che stringe forte il più potente dei respiri, quello della vita.
Il panico è un cappio che chiude il cielo in un fagotto di buio. Senza vie d’uscita.
Il panico nasconde la realtà, distorce le emozioni, cancella ricordi solari e sorrisi immediati.

Non esiste più la razionalità, l’efficacia degli abbracci, il rumore confortante di un messaggio sul cellulare. Il panico soffoca. Distrugge. Ammalia come una sirena ammaliava Ulisse. Ti penetra le orecchie con il suo canto sensuale e ti stordisce, lasciando che il mondo visibile sia solo in bianco e nero. Senza sfumature o arcobaleni. Quando pensi di esserne uscito forse sei all’inizio della rinascita. Tutto quello che puoi fare è provare. Caricarti di sorrisi, come un mulo sulle strade impervie delle Ande si carica di provviste. Caricarti di positività, energie e soluzioni. Lasciando per la strada quello che non serve.

Si diventa materiali, essenziali, forse troppo egoisti. Si diventa lupi solitari che imparano di nuovo (ma forse mai lo avevano imparato) cosa vuol dire stare soli con se stessi. Si diventa aggressivi e storditi dalle continue richieste. Si prendono decisioni totalmente inconsapevoli, nelle quali ti troverai a sguazzare qualche tempo dopo, a leggerne e cercare di capirne le conseguenze. Si va avanti, sapendo che di risposte non ce ne sono, lasciando che le cose fluiscano, scorrano, creino i loro percorsi solitari, solcando letti di fiumi leggendari.

Certo non sono una mamma nata con il buco, come scrissi poco tempo fa. E di perfezioni nella mia vita non ne ho viste molte. Spesso ho perso tempo a colpevolizzarmi davanti allo specchio, a farmi analisi di coscienza e domandarmi come e dove poter recuperare, dove fosse lo spazio per uscire dall’acqua e riprendere fiato. Ma questo privilegio adesso non ce l’ho. Riesco a malapena a trovare la forza di alzare la mano fuori dalle onde per farmi scorgere da qualcuno, lontano, sulla riva. Sono sempre a corto di fiato, ma probabilmente non posso essere diversa da quella che ho sempre voluto essere, incastrandomi in mille pensieri, prima che diventino impegni materiali.

Come sempre faccio voli pindarici. Ho iniziato a scrivere questo post nemmeno ricordo quando, l’ho corretto altre 4 o 5 volte sperando di finirlo, invece è rimasto qui, in attesa del suo momento (e del mio tempo). In questi giorni, in queste settimane, sono successe tante cose. Sono stati momenti intensi, di riflessione importante per me e, probabilmente, anche per chi mi sta intorno. Mi piace la vita, in tutte le sue sconnessioni e riconnessioni, in quello che regala comunque, anche nei giorni di vento in cui i capelli di parano gli occhi e non si vede più l’orizzonte, appiglio sempre valido e caro. Mi piace l’uso della parola, di cui spesso mi riempio le mani piuttosto che la bocca, non riuscendo come vorrei ad esprimere vicinanza ed empatia. Mi piace sbagliare, correggere (se possibile e se accettato), mi piace mettere alla prova con incoscienza tutto ciò che passa attraverso di me.

Certo è che, nei miei infiniti voli pindarici, dal decollo (crisi di panico) all’atterraggio, non dovete cercare tra le righe. Quello che voglio dire lo dico, con buona pace dei maligni. Quello che non c’è scritto non c’è e basta, non esiste. E se vi pare di scorgere qualcosa che parla di voi, sicuramente vi sbagliate. Io non so parlare per nessun altro che per me.

E’ il mio modo di fare introspezione, di conoscermi, di analizzare tutto fino allo sfinimento.

Fino a che anche il più tenace momento di panico si stufa…e se ne va. Lasciandomi sorridere.

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Le mie pause dall’ordinario

NON TUTTE LE MAMME NASCONO COL BUCO.

standard 15 aprile 2016 15 responses

Bach. Sinfonia sulla IV corda.
Immagino Piero Angela che racconta la mia storia (che lusso sarebbe). La mia storia lunga un anno, quello più intenso e forte che si può immaginare.

Primo mese. Potrei dire primo giorno, prima ora, primo sguardo. Non c’è un momento che non valga la pena raccontare. Così come non c’è un momento che non vorresti tornare indietro. Alla libertà di scelta. All’emancipazione. A quando potevi decidere di te stessa e per te stessa. Pochi momenti per pensare, pochissimi per andare al bagno, zero di solitudine. Rigurgiti come se piovesse. Ti senti come se ti fosse passato un tir sopra tutte le ossa, gli occhi pesano, i pensieri anche. Il cesareo non lo hai ancora “smaltito” e il corpo che vedi allo specchio è nuovamente cambiato. Ti chiedi se ce la puoi fare, la risposta è si, a tratti, come le code in autostrada.

Secondo mese. Le cose sulle quali ti eri soffermata a riflettere del primo mese prendono forma, si plasmano sulla solitudine che aumenta in maniera proporzionale alla perdita dell’indipendenza. Una solitudine fatta di due individui fusi in un’unica richiesta: amore. L’amore che si riflette, si allunga come il sole che tramonta sempre più tardi, lasciando il suo residuo in ogni giornata, rendendola lunga, infinita, difficile. Il baby blues ormai è roba passata ma le lacune di cui riempi le tue giornate sono consapevolezze. Anche se non hai più paura a mettergli il pannolino e il seno non è dolorante, ogni mattina è una sfida. Sfida a te stessa, stanca, sfatta, consumata. L’amore che si riflette, si, con il fastidio. Ma, nonostante tutto, sei sempre lì. Sveglia. Reperibile.

Terzo mese. Caldo. Torrido e insopportabile. Caldo impossibile anche per te, amante del sole. Esci, ma non basta. Passeggiate a qualsiasi ora, supermercati, centri commerciali, macchina ossessivamente parcheggiata all’ombra per non friggere un figlio ancora minuscolo ma che ti fa sentire potente, indispensabile, fiera. Alcune paure sono archiviate, altre sono in agguato. Ti accorgi che non puoi soffermarti mai, tirare il fiato, essere protetta dalla sicurezza di un obiettivo raggiunto. No, non basta. E’ sempre tempo di cambiamenti per te e per EliaMirtillo.

Quarto mese. Ancora caldo. Pazienza arrivata ad una soglia mai conosciuta prima. Le notti in bianco sono innumerevoli, quelle poche ore che riesci a mettere insieme di sonno sono un traguardo degno di una ultra maratona di montagna. Però sopravvivi. Ti imponi per farlo almeno una doccia al giorno, per spazzare via pensieri, per coccolarti 5 minuti, per concederti respiro, vuoto, per abbattere il senso di colpa. Quello che ti assale subito dopo aver inveito perché non cedi al sonno, per l’ennesimo rigurgito sul divano, sul bavaglio pulito, sulla tutina nuova. Speri in una compagnia che manca, manca sempre. L’amicizia assume nuove prospettive. Vai avanti, un passetto in più. La sdraietta è un’alleata, insieme alla fascia, per qualche minuto di pace. Perché i tuoi occhi sono sempre più attivi, attenti, vispi. Perché la tua crescita è la sostanza e il compimento di ogni giorno.

Quinto mese. L’estate è quasi passata. Il mare lo hai conosciuto per un giorno, ti è piaciuto. Sei sempre più coccoloso e tornito, intanto si avvicina la data del matrimonio e con lui anche lo svezzamento. Ogni cucchiaio che passa ti rendi conto che si, c’è sempre qualcosa di cui lamentarsi. Basta saper smettere al momento giusto e riconoscere tutto il bello fatto fino a quel momento e tutto il bello che dovrà ancora arrivare. Pensi al ritorno al lavoro, al nido, progetti che devi archiviare ma altri che non vuoi mollare, nonostante il tempo sia sempre più nemico delle tue giornate. Con le pappe arriva un’altra carrellata di ansie. Impegni. Scelte. Passi da fare con calma. Tutto quello che credevi impossibile da chiedere a te stessa lo fai senza nemmeno accorgerti di farlo.

Sesto mese. Aggiungi ingredienti alle pappe. Vedi i continui progressi di tuo figlio. Hai voglia disperata di fare qualcosa per te, solo per te. Torni a correre, non ci sono alternative, è quello che vuoi fare. Vorresti anche uscire con le amiche, leggere, fare un viaggio, stare spensierata su un prato lasciando tutti fuori dalla porta. A piccoli ma costanti passi capisci cosa è meglio per te. E quello che è meglio per te è sicuramente la cosa migliore che puoi fare anche per tuo figlio. Non è presunzione è solo una deviazione che hai trovato sul cammino. Di quelle irreversibili. Non hai più voglia di chiedere, insistere, mendicare. Inizi a tirare su un po’ di muri, per proteggere la tua vita stanca, perché non cerchi compassione ma complicità, condivisione. Ci sono degli spazi che ti fanno tirare il fiato e ci sono, soprattutto, le risate del tuo bimbo.

Settimo mese. La tua voce è dolcissima. Parla di “tatatata bababababa mamamamama”, di mondi colorati e sospesi, parla di armonie, di passeggiate, di scoperte che ti fanno ammirare tutto con occhi nuovi, quelli del tuo bambino. E’ filtro magico e caleidoscopico, il tuo sguardo acceso, mai domo. E’ sempre più bella la sua dolce compagnia, quella di un bambino tranquillo e osservatore come il papa’ ma curioso e un po’ folle come la mamma…peccato per le notti. Dure, minacciose, buie. Le luci artificiali che le illuminano la stanza non sono abbastanza. Perché è così difficile? Cosa stai sbagliando? Perché? Ti riempi di domande, alternando momenti di totale disperazione con altri di speranza. Ma, al momento, non ci sono vie d’uscita. Il tuo ottimismo infinito vacilla. Le gambe tremano.

Ottavo mese. Torni a lavoro. E’ dura stare senza di lui, senza il tuo tempo libero guadagnato nelle ore dell’asilo, è dura trovare un nuovo “nuovo” inizio. Ma a quanto pare la vita di ogni essere umano, se donna soprattutto, è destinato a questo. Riadattarsi. Riplasmarsi. Mettere un punto e ripartire da zero. Essere una persona uguale ma diversa, rischiando ogni volta di non riconoscerti, perché non solo cambia l’estetica ma anche le aspettative che hai su te stessa, su tutto quello che ti sembra di fare e, invece, agli occhi degli altri, ti accorgi di non fare. Insomma…ti senti trasparente. Ma forse è meglio così. EliaMirtillo cresce, sta seduto bene, si rende conto di ciò che succede intorno, si fa amare per la sua dolcezza infinita, per la sua morbidezza cronica, per la sua pelle liscia e profumata, per quella bava così copiosa. Si fa amare perché non può essere altrimenti, ai tuoi occhi, innamorati.

Nono mese. Il primo Natale, il primo anno nuovo, il primo antibiotico, la prima febbre, tosse, bronchite, virus gastrointestinale. I primi 3 fine settimana a disperarsi perché stai male. Nono mese, sesta malattia. La prima corsa al Meyer con il cuore in gola per una febbre che non vuole scendere sotto i 40°. Poi passa. Passa e ti senti invincibile. Nonostante la stanchezza assuma delle forme di sopravvivenza mai conosciute e pensate prima, nonostante le gambe cedano ma molto più spesso cedano i nervi. Passa tutto. La regola imparata in questi mesi, vivere alla giornata, è indispensabile ora più che mai, per non pensare troppo al domani, per non illudersi ne caricarsi troppo di afflizione e ansie. Insomma…tutto regolare. Essere mamma ti sta insegnando tantissimo. Ti sta togliendo degli orpelli, ti ha reso più pratica e meno filosofica. Ti fa sorridere sulle cose che prima ti preoccupavano. E’ come se davanti a te ci fosse un grandissimo casellario e tutte le priorità si fossero scombinate e avessero lasciato libere tante caselle sparse. L’abilità di riposizionarle, piano piano, è sempre più immediata.
Ah. Si sono fatti avanti i primi due dentini.

Decimo mese. Dopo mesi di preoccupante stabilità, finalmente gattoni. E come ogni volta ti trovi a “maledire” il momento in cui hai desiderato che scoprisse nuovi mondi, come sempre ti è successo in questi mesi. Perché essere madri è un percorso a tappe, dove conosci ciò che hai appena passato, per il quale hai conquistato la maglia gialla, quella rosa e quella del gran premio della montagna. Ma le tappe che verranno le aspetti con ansia e inquietudine, curiosità e fibrillazione, sperando in evoluzioni che quando arrivano non sai ancora come affrontare. Gestire le potenzialità di un piccolo essere che, piano piano, si sta staccando da te, potenzialità che non sono “tue” ma appartengono ad un “altro” che comunque fa affidamento completamente su di te. Insomma, un gran casino. Il bello del gioco è tutto qui, nel farsi confondere da tutto questo casino, rimanendo sempre con il sorriso sulle labbra. E come si fa a non esserlo, con lui accanto?

Undicesimo mese. Il tempo passa così velocemente, complici le settimane lavorative intense, che non hai nemmeno tempo di pensare a quello che sta per arrivare. Il suo primo compleanno (tadadadaaaaaaan). Non sai se vorrai festeggiare, sei confusa, ti senti in una specie di baraonda che ti fa rimbombare le orecchie. In fondo è una festa più per te che per lui, inconsapevole attore protagonista di questi 366 giorni intensi e, talvolta, complicati. Ma piano piano intravedi un barlume di vita, le notti cominciano ad essere meno pesanti e, dopo tanti tentativi, sacrifici inutili, forse hai trovato la strada giusta per la sopravvivenza: niente tetta la notte e via, in camera da solo, come i bimbi grandi. Improvvisamente ti chiedi perché non lo hai fatto prima. Perché forse per tutte le cose esiste un momento giusto? Perché è arrivato quel momento. In cui sei consapevole che ce la puoi fare da solo, quasi fino a sentirti ricco e straripante d’amore. Il momento in cui la fortuna e l’amore pieno vanno di pari passo, camminando in sincronia. In cui non hai bisogno di abbracci rassicuranti di continuo ma solo a giorni alterni. Il momento in cui senti di dover lasciar in pace tutti, dai tuoi tormenti, perché essere mamma agli occhi degli altri è di una noia incredibile. Invece agli occhi tuoi sta prendendo una forma quasi divertente, alla quale non potevi credere fino a qualche tempo fa. Essere mamma è un percorso, come lo è la felicità. All’inizio ti sembra impossibile, un tunnel afoso e soffocante, senza uscite. Poi diventa difficile, un ginepraio di rovi ma forse districabili. Poi diventa fattibile, pieno di ansie e graffi, ma quei rovi si trasformano piano piano in foglie verdi lucide, nuove. Poi diventa reale. Consapevole. Giusto. Bello come devono essere le cose belle. Quasi inspiegabilmente ti piace anche quella “solitudine a due” che prima ti chiudeva a doppia mandata la gola.

Dodicesimo mese. Ci siamo. Aprile è qui. Il 15 aprile saranno terminati i 12 mesi dalla sua (e tua) nascita. Compirà un anno. Quel cosetto lì, insignificante ma indelebile, con quelle gambette corte e ciccione, con le mani tornite e gli occhi marroni scuri, quel panzone lì compirà un anno. Quello che ti ha fatto penare di notte e gioire di giorno, quello che ti butta le braccia al collo ogni volta che ti vede, facendoti spappolare il cuore di gioia, quello che tu amerai, incondizionatamente ogni istante ma che all’inizio non sapevi come fare, e ti sei chiesta tante volte se quella fosse stata la cosa giusta. E ora invece ti chiedi se farla di nuovo, sta cosa. Perché nel tempo ti sei data delle risposte, il tempo come sempre ha aiutato a dipanare anche queste matasse strane e sconosciute. La sensazione è bella, ora. Respiri a pieno la primavera, le belle giornate, i suoi sorrisi sull’altalena, ti prendi tutto il meglio e se non hai occasione di farlo ti manca, perché è fiorita e profumata, questa primavera. E’ ricca di sole, di margini di miglioramento, è morbida al tatto come l’erba del prato di casa tua. Quella dove lo hai seduto per fargli assaggiare le prime margherite, lasciandolo per un attimo fuori dall’eterno controllo che vorresti, per lui.

1annoElia

Passo dopo Passo…

La sinfonia è finita. Per un attimo ti senti persa, senza musica. Ti guardi intorno, le mura della vostra piccola casa vi proteggono. Sono piene di colori, così come vorresti fossero sempre le sue giornate, senza preoccupazioni, paure, dolori. Non è il tempo di pensare a questo, è tempo di festeggiare. Di stare insieme, condividere, spegnere la prima candelina.

E mentre la lucina fluttuante si spegne, spengo pensieri e parole e corro da te.

LA MIA VERITA’.

standard 22 marzo 2016 8 responses
Guernica-Picasso

Pablo Picasso – Guernica

La verità? La verità non è mai assoluta. E’ sempre e solo secondo noi.
Quella secondo me è qui. Tra le righe di questo blog, a sporcare le pagine di questo diario virtuale disarmato e povero di parole. Spesso anche povero di compassione.
La mia verità è che siamo indegni abitanti di un mondo bellissimo.
Lo imbrattiamo con la nostra presenza, come vampiri assetati del sangue del nostro vicino. Un vicino più povero, più ricco, più maleducato, più indegno di noi. Lo decidiamo come giudici soli, davanti allo specchio del nostro bagno, delle nostre case, al sicuro. Una privata giustizia fatta di avidità e odio.

La mia verità si chiama ignoranza. Ignoro volontariamente tante cose, così come ne vorrei conoscere molte. Ma informarsi è difficile, costa tempo, costa attenzione e memoria. Informarsi è lottare, aprire mente, occhi, cuore. E, diciamolo, il tempo è sempre troppo poco.

E se il tempo è troppo poco, usiamolo per stare bene. Non lo usiamo per indicare il peccatore. Non ci affanniamo sui social a spargere altra violenza verbale, fermiamoci a riflettere. A guardare le nostre vite che si intrecciano con le vite degli altri, a pensare quanto sono piccole e insignificanti. Ma per noi sono tutto. La vita che ci scorre dentro, quella delle persone che amiamo, quella che incroci al rosso di un semaforo. Le nostre preghiere, quelle senza religione, che siano di pace, ogni giorno.

Ogni giorno che affondano barche, che famiglie si spezzano sui nostri mari, che bombe incessanti scoppiano in Siria, a Bruxelles, a Parigi, o lontano. Dove non abbiamo tempo di arrivare a compatire, dove non conosciamo, dove non arriva il nostro sguardo, dove nessuno può sapere. Che siano di pace le nostre giornate, invece che di rabbia. Siamo nati dalla parte giusta del mondo, quella sicura, quella dove si può viaggiare, sognare, lavorare, mettere al mondo figli, quella dove si può vivere. Ci sentiamo invincibili. E allora tutta questa fortuna sfruttiamola.

Viviamo al meglio, al massimo delle nostre possibilità, che oggi è una bellissima giornata di sole, la stanza profuma di primavera, il cuore è pesante, come ogni giorno, ma non ci fermiamo al primo sguardo sulle cose. Vicine o lontane che siano la bellezza la decidono i nostri occhi, quelli dei nostri figli. Impariamo da loro, per una volta, qualcosa. L’innocenza. L’avvicinarsi allo sconosciuto titubanti ma interessati. Impariamo a stare alla larga dalle vendette, violenza chiama violenza. E la paura si, c’è, convive con noi, facciamocela amica. Non facciamoci soffocare dal buio.

La mia verità? E’ che la parte giusta del mondo è quella dove c’è amore.

Mentre scrivo queste righe, banali, mi ripeto dentro tante cose. E cerco di convincermi che la paura sia mia amica, anche se ha un brutto aspetto, intenso e terribile. Da quando sono mamma mi sono arresa a tante cose, ho fatto una marea di errori e tanti ancora mi aspettano sulla strada…ma non devo lasciare che la paura si impadronisca delle mie azioni. Abbiamo tanti burattinai che provano a manovrare le nostre vite, liberiamoci dai fili che vediamo sopra la nostra testa, il cielo sarà senza dubbio più azzurro.