Il mio mondo di pozzanghere e ciliegie.

standard 20 maggio 2013 59 responses
Io mi chiamo Andrea, vivo in un piccolo paese, in un luogo di cui non saprei raccontarvi il nome, la storia, lo spazio, ma solo il presente.
Ho i capelli rossi. Le lentiggini. Gli occhi verdi. Questo è quello che so ogni mattina quando mi guardo allo specchio, poi lo dimentico appena chiudo gli occhi. La mia memoria non sopporta di ricordare, non so nemmeno perchè ma è così.
Mi ricordo come andare in bicicletta, come camminare in equilibrio sulle precarie giornate dove si respira un’aria sporca, come pettinarmi i ciuffi ribelli, gli occhi delle mie sorelle e l’odore della pelle di chi amo.
Mi ricordo come scrivere, mettere una parola dopo l’altra per comporre una frase compiuta, magari senza molto senso per tutti voi, ma che compone una lieve armonia per le mie corde.

Mi chiamo Andrea e in questo paese tutti usano la bicicletta, per andare a lavoro, per uscire con gli amici, per accompagnare i figli a scuola. Il sorriso è il saluto usuale. Mentre le vite degli sconosciuti si sfiorano, lasciando una scia di vento a ricordarne il passaggio, io guardo le strane pozzanghere immobili, trasparenti oblò che mostrano, ogni giorno diversamente, il mondo sottostante.
Vedo libellule leggere, che illuminano i fiori dove si poggiano, facendo cadere la porporina dalle loro ali, come fosse riflesso dorato del mondo superiore.
Vedo questi fiori che ascoltano la primavera, non solo stagione cadenzata dal passaggio, dal tempo, dal nome dei mesi, ma stagione di colori, senza sosta, di calore che arriva forte, diretto dal centro della terra.
Pozzanghere strane, ogni giorno cambiano la loro posizione, in queste notti fresche, di pioggia intensa e insistente, che mi portano via la memoria.
Alcune non sono trasparenti ma macchiate d’olio di quelle poche macchine che ci inquinano l’aria. Viene a galla e forma un piccolo cerchio, l’acqua si trasforma in specchio, vedo la molletta a forma di ciliegia che mi tiene i capelli stamani.

Mi chiamo Andrea e sono una ragazza. Rinascessi altre mille volte, in altre mille vite, non vorrei essere diversa da come sono, non vorrei essere uomo, non vorrei occupare i miei pensieri diversamente da come sono adesso. Superficiali e pesanti. Dubbi e incertezze costanti. Probabilità e imprevisti, come se il mio paese  fosse un Monopoli da percorrere tappa dopo tappa. Ogni mattina torno all’inizio. Non ricordo quante volte sono riuscita a passare dal Parco della Vittoria, diciamo che i vicoli e le strettoie mi fanno sentire più a mio agio, saranno le prospettive infinite, l’odore di casa, l’erbetta che cresce sui tetti e il sole che si infila in ogni feritoia, i bambini che giocano nei cortili, che non vedo ma sento, il soffritto nelle padelle, le carezze sul volto amato. 
Il mio piccolo paese mi veste, mi completa, mi soddisfa. Anche il colore marrone del fiume che lo percorre, arrabbiato e cupo per le incessanti piogge primaverili, lo sento mio. 

Andrea. Questo è il mio nome. Lo ripeto come un mantra per non scordarlo, almeno questo no. Tra le lenzuola stamattina mi sono innamorata, c’era l’odore della pelle di chi amo. Mi addormento mano nella mano con lui per incollare una forma sull’altra, per sentire la sagoma e imparare a riconoscerla anche quando mi sveglio, spaesata, e cerco un riferimento, uno, che i miei occhi non abbiano gettato altrove.
E allora ho imparato l’odore della sua pelle, che annuso, l’odore che mi arriva fino al cervello e colpisce ogni percettore sveglio. 
BOOOOOM! 
Quindi ricordo! 
Le lenzuola, il cuscino, il ronfare della mia gatta. Le pieghe della notte, le ombre del mattino, le sottili porporine luminose, lasciate dalle libellule anche qui, nel mio mondo, nella nostra stanza. Perchè forse anche noi, io e te, amore mio, viviamo al confine. Dormiamo tra le fate e lavoriamo sopra le pozzanghere.

Un cuscino di ciliegie, rosso e vivo, come il nostro amore, assorbe i nostri sogni.
Sono ciliegie gustose. Da lì comprendo il significato del tuo sentimento e la forza del mio.

Quando scelgo in quale dei due mondi camminare non ho più bisogno di ricordare, ma di sentire la mia vita prendere forma, le mie mani la modellano, vene, muscoli, sguardi, pulsazioni.
Non più ieri, solo modelli a grandezza naturale di un oggi che posso toccare.

Vladimir Kush
Blogger…i tuoi capricci non possono fermarmi, non oggi!
Non quando devo raccontare di questo intero mondo creato da un bellissimo fine settimana. 
E’ un mondo fatto di chiacchiere, sorrisi, abbracci, tenerezza e complicità con una persona (e la sua dolce figlia) meravigliosa. Ma non è che proprio sia facile trovare descrizioni, aggettivi per rimandare la sensazione avuta conoscendo Sandra. E’ per lei che ho scritto questa storia. Per tutto questo mondo, queste catene invisibili di amicizie virtuali che esistono veramente, ogni commento un po’ di nettare, essenziale per la vita di questi blog, così pieni di tutte noi (ps: Monica…te lo dico…qui manchi! La tua assenza mi fa anche scrivere racconti…intervieni, presto!!!)
Per lei e per i miei amici, che mi regalano sempre la gioia della condivisione, dell’amore quello che non chiede.
Per lei, loro e le mie sorelle, le piccole e fragili anime che tengo ogni minuto tra le mie braccia, almeno con il pensiero, per le quali vorrei alleviare ogni dolore e curare ogni sofferenza o fatica ma, visto che non lo posso fare, mi limito a stargli accanto cercando di accompagnarle nel modo migliore che posso.
Per lei, loro, le mie sorelle e per chi mette le ciliegie su quel cuscino con me, promettendomi pazienza e fedeltà, dando significato ad ogni per sempre che pronuncia. Che se poi lo andate ad ascoltare QUI sono contenta (lui = chitarra).

Grazie ?

ALIENS#7

standard 6 maggio 2013 36 responses

Io ho visto Saturno.

Vestiva i suoi anelli, pallido,
come io vestivo questa alba, leggera.


Caravaggio accoglimi in questo fascio di luce.


Io, la tua musa, campo magnetico, ti attraggo nella mia rete, ti abbraccio nel mio panneggio.


Illumina i suoi anelli
Costringi il mio cammino
Rendilo stabile.
Scolpito.



(progetto ALIENS di Berenice&Maurizio)

Il Bacio.

standard 18 marzo 2013 87 responses
Il filo dei pantaloni strappati mi solletica la coscia destra. Sono jeans vecchi, di chissà quale provenienza.
Una cannottiera rosa e i miei capelli lisci, fini, color biondo scuro. Erano già corti, non tanto quanto adesso, ma non superavano le spalle.
Le cicale, le onde del mare, la sabbia tra i piedi. Una pineta di un posto qualunque, in un giugno qualunque, in una città di mare qualunque. Il profumo penetrante della resina, persistente. Il calore di una presenza vicina, il cuore che batte fino dentro le orecchie, i pensieri mescolati, offuscati. L’adolescenza ancora verde, come le pigne su quei pini che disegnano degli strani profili sui cieli d’estate. Così verde da non conoscere il significato delle illusioni, che le uniche lacrime versate sono quelle per gli amori presunti, per chi non sa nemmeno che esisti.
Una pineta e una panchina.
E il primo bacio.

Avete mai pensato a cosa sarebbe la vostra vita senza il Bacio?
Baci.
Bacio.
Baciare. 
Solo pensare alla parola mi provoca una certa difficoltà di espressione.
E così guardo lo schermo e cerco di ricordare.
Quante volte sono morta e risorta dopo un bacio.
Quante volte ne ho solo immaginato uno e desiderato quello che non potevo avere.
Quante volte ho pensato che era meglio non darlo, quante volte ho pregato disperatamente per averne uno ancora, quante volte ero io a non volerne dare. 
Quanti ancora ne darò o ne ho lasciati per strada.
Tutti hanno scritto sul Bacio.
E io sto cercando le parole. 
Ma sfuggono via. Sono lisce come il marmo, come il raso rosso di cui dipingo le mie voglie.
Sono tiepide come il ricordo di quel bacio che io chiamo uno ma in realtà sono stati cento, colibrì che fuggono con il loro rapido battito d’ali.

Una mano sui miei occhi.
Una sul mio collo.
Le tue.
Le mani del bacio perfetto.
Io maledetta e tu, maledetto con me.
Strappami i vestiti gli occhi i sospiri
Abbigliami d’erba e di respiri
Costringimi a guardarti ancora
Costringi questo contatto
E leggi quello che non scrivo
Perchè troppo vorrei dire
Perchè niente può descrivere
Unica testimone la mia Bocca
Piccola e pallida
Non scorre più sangue
Non ci sono più sguardi
Sento infinite sfumature di addio
Mai pronunciate 
Mai così vere
Sei desertico sei cattivo sei solo
Sono cieca sono povera sono avida
Vocabolario smarrito recita una sola parola.

Ancora.

Igor Mitoraj – in un parco di Paris
E così, con un bacio, io muoio. 
W. Shakespeare

C’ero io. Palazzo Vecchio e una poesia.

standard 14 marzo 2013 63 responses
Ci sarà un giorno in cui riuscirò anche a postare il video. Forse.
Intanto queste sono alcune foto e, credetemi, ho fatto uno sforzo sovrumano per sceglierle! Sono tutte Perfette… tutte di Maurizio Picci, il mio Fotografo del cuore, nonchè migliore amico, che forse di voi qualcuno già conosce per questo e soprattuto per il bellissimo progetto ALIENS.
Ma non mi voglio dilungare troppo…godetevi le foto e quel pomeriggio di una settimana fa che tanto mi ha fatto sognare, che mi ha fatto sentire un’emozione nuova, viva e vibrante, che mi ha fatto sudare le mani come una pivella al primo esame.
Le prime volte sono belle, si sa.

La mia poesia Perfetto
 
  

 

La poetessa Fiorenza Alderighi, una persona magica
La mia “sorellina” S. ?

Alcuni dei miei amici presenti ?
 
Maria Cristina Valore e Berenice Boncioli
in arte Cry & Berry
Leggere davanti ad un pubblico, piccolo ma importante, ciò che si scrive con anima e trasporto è davvero un’emozione forte. C’era la mia Firenze fuori, c’era la pioggia. Un febbraio controverso e denso, il libro di una grande amica, ricca di meraviglie da donare a tutti noi, c’ero io. Le mie sorelle, mio babbo e mia mamma. I miei amici. 
C’era la mia giacca blu elettrico e dei ranuncoli selvaggi. 
C’ero io, la mia poesia.
Se ci ripenso non mi sembra vero.

Effetto domino.

standard 17 gennaio 2013 42 responses
Ho sognato di essere incinta. 
Il risveglio era già traumatico, non era necessario che intervenisse un altro fattore a renderlo inverosimile.
Quando mai la vita fa quello che realmente decidiamo noi?
Giusto ieri sera archiviavo nella categoria “Sono una donna, non sono una cogliona” una situazione che mi stava (sta?) rendendo la vita simpaticamente instabile. Ovviamente trattasi di essere umano di sesso maschile.
Io archivio e lui ritorna dall’oltretomba.
E quindi mi sono domandata quanto la mia archiviazione fosse conseguente alla sparizione del morto-vivente in questione…non ho ancora una risposta, ma vi terrò aggiornati.

Tutto questo preambolo è solo per dirvi che anche io sto per scomparire negli inferi. Ma non temete, tornerò…e se qualcuno di voi dovesse passare da Milano me lo faccia sapere!
In questi giorni ho ampliato un po’ la mia rete di blog seguiti, è sempre bellissimo “navigare” tra le vostre parole, leggere i racconti, le ricette, gli sfoghi e le gioie.
Ho conosciuto Silvia, per fortuna è di Firenze e la potrò vedere spesso, dal vivo è una forza, come lo è nel suo vivissimo e partecipatissimo blog ?. 
Ho dei piccoli progetti in cantiere, che presto vi farò sapere, sempre che il ritorno dagli inferi sarà clemente con la mia creatività, più di quanto lo sia il discendervi, mi sento così arida di parole e di emozioni che quasi mi sto vergognando a scrivere questo post.
Ma, come le bocche di persone poco fantasiose dicono spesso, “c’è di peggio nella vita”
Ho provato anche a ripetermelo oggi, quando mi sono svegliata e ho trovato la sorpresina del nostro amico, meglio conosciuto come 47 morto che parla.
Me lo sono ridetto quando a lavoro si sono accavallate beghe su beghe, in contemporanea con il telefono impazzito, l’organizzazione della discesa agli inferi della sottoscritta.
Poi ho acceso la tv e ho visto la pubblicità di Real Time che invita a seguire il programma che parla delle ossessioni che portano a collezionare (per fare un esempio) quantità inverosimili di bambole di pezza, baciate sulla bocca successivamente al proprio coniuge. Ecco. Per una volta ho accettato il “c’è di peggio nella vita”
Ripeto la domanda: la vita fa mai quello che decidiamo noi?
Forse è solo un girotondo di conseguenze, forse siamo solo noi stessi i primi responsabili delle tessere del domino che, pur con un loro ritmo, piano piano si toccano, si sfiorano, sussurrano a quella successiva ciò che dovrà accadere, nella strada verso la tessera seguente?
Mentre ci riflettete, guardate questo video. La canzone merita, ma anche solo le immagini sono geniali.

Mi mancherete amici!
Nei momenti bui e grigi dei prossimi giorni chiuderò gli occhi e penserò di essere lì, seduta sugli scalini del Lifeguard di Miami Beach, con i miei sogni ancora tra le mani e nessun bisogno di spingere la prima tessera del domino.


Marzo 2012 – South Beach, Miami, Florida (USA)
Foto by Berry

Ps: volevo ringraziare Francesca per l’assegnazione del premio Liebster Award, sono una frana totale per le riassegnazioni, non riesco a scegliere! Grazie comunque tante e…visitate il suo blog, ne vale la pena!

PERFETTO.

standard 10 gennaio 2013 50 responses

Nasci da sospiri irrequieti 
percorri le mie vene cariche, 
sono io il tuo perfetto domani.

Trova una superficie che rimandi il tuo volto
Narciso dalla pelle di velluto,
perfetto il peso delle tue mani.

Intatto 
Stabile
Mai contraffatto
Perfetto e intenso, come fango chiaro.

Leviga quelle tracce,
costanti segni nel legno d’ebano del mio cuore.
Come intarsi si sono insinuati.
Troppo hanno inquinato.

Tu sai leggere ogni strano dialetto
che mi ostino a parlare.
Prima che io svanisca, vienimi a salvare.
Ti sussurro Perfetto e tu intona il mio nome.

Resto fermo e nascosto 

Nell’apnea di un fondale. 

Nella cuora del tempo 
Che continua a scadere 
Sulla pelle ammaccata 
Il mio regalo per te. 
Non vedo più nessun male che mi possa ferire 
Almeno per stanotte non c’è nessun dolore. 

Favole a merenda

standard 7 gennaio 2013 47 responses

Mentre vado in altalena mi sporgo.
Da quando scrivo questi ultimi 365 giorni sono stati, in termini di numeri e “popolarità” indubbiamente i più creativi, ispirati e sostenuti. Certo, ci sono delle mie amiche blogger che scrivono “che sembrano unte” (come si dice a Firenze), post dopo post meraviglie culinarie, soufflè dopo soufflè meraviglie di scrittura. Ma come fate? Siete più produttive di una catena di montaggio!
Io, da brava simil-poetessa, vi guardo, mentre mi spingo sull’altalena. 

A dire la verità è tanto che non ci faccio un giro sull’altalena. Adesso preferisco strapazzarmi le budella a Mirabilandia. Più pericoloso e ripido è il rollercoaster, più mi esalto. L’adrenalina che esce da tutti i pori, che mi fa saltare, sorridere, continuare a fare file kilometriche con gente che mi fuma in faccia nonostante in cartelli di divieto. 
Mirabilandia e Fragonard. Mah…ogni tanto mi chiedo di come sia possibile che io sia così assurdamente accozzata. Adoro delle cose così distanti tra loro che non so come siano compatibili, questa cosa a volte mi esalta a volte mi spaventa. Potrei essere un potenziale serial killer, Dottor Jekill e Mister Hyde. E menomale che sono alta solo un metro e sessanta, altrimenti sai quanta follia ancora poteva entrarci. Ma sono un intenso concentrato, come quello di pomodoro, ne basta poco…in tutti sensi!

J. H. Fragonard – L’Altalena
Insomma dicevo. Fragonard e l’altalena. Quando studiavo storia dell’arte non credo di essermi mai soffermata sul particolare della scarpetta che vola in alto, per l’impeto della spinta. Ma soprattutto penso di non aver colto l’intenzione frivola del dipinto. Una nobildonna che si diverte in un gioco infantile, in compagnia del marito e…dell’amante. L’amante che guarda sotto la gonna pomposa e svolazzante della signora dai chiari capelli.
Escludendo le presenze maschili di questo quadro, vorrei tanto essere la fanciulla protagonista. Vestito color pesca, pizzi e cappello in tinta, delicatezza e felicità. Una superficiale spensieratezza.
Ebbene, sto ripiombando sonoramente in uno di quei miei “beautiful moment” in cui tutto accade – niente accade, in cui un minuto ti senti bella e micidiale come una Venere e l’attimo dopo impossessata da Medusa, chiunque ti guardi si trasforma in pietra. Orribile in pratica.
Insomma in pratica…sto cadendo dall’altalena. Sono giusto nel momento prima di spiaccicarmi (scusate il maremmano!) con la faccia al suolo, sassolini in bocca, terra che graffia i palmi delle mani, ginocchia con i rivoli di sangue. Tenere forte le corde, farle scorrere tra le dita, era diventato un noioso palliativo, un fastidio, quelli dati dalla ripetitività delle cose; certo, stabilivano la mia sicurezza, ma quello che rimandavano non era altro che una banale riproduzione di me stessa. E si sa che a me piace cadere. Gustarmi quel momento in cui posso far scendere con ragione le lacrime salate sul mio viso, in cui posso tamponare i miei occhi smarriti, in cui tolgo i frammenti di terra dalle dita, come fossero l’ultimo baluardo della fiducia che ripongo nel genere umano (di sesso maschile). Fiducia, sorrisi. Tutto molto scadente, come un pasto frugale consumato di fretta in un fast food, da soli, con la faccia rivolta verso un muro. La qualità degli ingredienti crea un risultato pessimo, di quelli che vanno ingurgitati, non gustati. Ecco, io che non vorrei mai vivere così, preferisco cadere, lasciare le corde, sbattere il naso, respirare la terra, l’odore rustico delle foglie verdi o secche, i rami vivi e pulsanti di clorofilla. 
Raccontare cosa sto vivendo risulterebbe forse banale, poco sfumato, non divertente. 
E magari sarebbe sconveniente. 
Perchè ogni riferimento a fatti, persone e cose è assolutamente reale qui, in questo angolo di vita. 
Perchè chiunque ha carezzato i miei capelli è stato fotografato, ricordato, memorizzato. Perchè chiunque ha sfiorato le mie mani o maltrattato la mia anima si merita uno spazio, una classificazione. Certo, tutto questo lavoro scientifico di catalogazione fosse servito ad imparare, a distinguere al primo sguardo chi ho davanti, a posizionarlo nella giusta dimensione o, perlomeno, in quella che si merita. La trasformazione in Mr. Hyde che ho subito questa estate non ha portato granchè frutti insomma…subdolo copia/incolla di cattiveria mal riuscito da comportamenti di terzi con la sottoscritta.
Quindi…raccontare cosa sto vivendo risulterebbe banale.
Sto cadendo dall’altalena con la speranza che “qualcuno” mi prenda al volo. 
E che mi posi, come una ciliegina sulla sua torta, così che io la possa rendere “complice ma non complicata” (cit.), dolce, a tratti stucchevole. 
Sfacciata e brutale faccio queste confessioni al mondo, nemmeno fossi una principessa.
Ma finchè c’è il vento che scompiglia i capelli e senti il sibilo nelle orecchie, finchè la forza di spingersi sempre più su non ti abbandona, finchè questa vita così superficiale e profonda, piena di contrasti e simbiosi, finchè tutto questo mi apparterrà ogni reame dovrà impallidire.

Conversazioni parallele

standard 16 dicembre 2012 67 responses
Quelle domeniche mattina in cui, per quanto tu alzi il volume della musica, i tuoi pensieri parlano più forte.
E ancora più forte i rimpianti.
E ancora più forte le voglie. 
Quei cammini non corrisposti per i quali insisti, senza tregua. Per i quali trovi sempre tempo e pazienza, costante tortura di una speranza mal riposta.
Come quei giochi dei bambini. Il cubo non entra nella forma rotonda del cerchio. Troppi spigoli. Maledetto cubetto ma che ti sei messo in testa? Anche se diventi più piccolo e passi dentro il cerchio, con tutti quegli angoli, dove vuoi andare? Vuoi sperare che la geometria sia solo un’opinione, rendendo tutto molle e trasformabile come gli orologi di Dalì?
Vuoi vagare senza tempo né pensieri, in cerca di una forma nella quale non ci sia bisogno di entrare, ma solo di combaciare? 
Forse è l’ora di non nascondersi più dietro delle simpatiche metafore.
Raccontarsi con tratti decisi, farsi osservare dal vetro di una camera iperbarica.
Forse sono emersa con troppo anticipo, dalla mia immersione. Troppo veloce, senza cura né parametri di sicurezza. Avevo raggiunto una profondità nella quale non si conosce pressione. Gli abissi mi avevano avvolto e ho smesso di conoscere, chiedere, domandare a me stessa.
Il blu profondo mi aveva avviluppato le membra, tutto era fatto con oscura materia, le dita allungate in una spirale accarezzavano le confortanti pareti della sicura fine. Poi ad un certo punto qualcuno in superficie ha chiesto di te, ha tirato la corda, come suonasse il campanaccio di una stalla. 
Ci sei Berry? Ci sei?
Sali su, io ti aspetto.
Il tuo viso, i tuoi baci, il tuo corpo.
Facciamo il morto insieme, sul confine di questi abissi, insieme.
Insieme per mano, insieme.
Io non lo sapevo ma a chiamarmi era la mia stanca coscienza. Mi ero immersa lasciandola sola, a galla in una barchetta con la vernice scrostata e il nome cancellato. 
Lei si è ricordata di me. Di come sorrido quando sono felice. Di come brillano i miei occhi. Ha preso la corda, ma mi ha fregato. Zero pazienza. Ma d’altra parte cosa posso aspettarmi, è pur sempre la mia coscienza. Povera, sciocca, frettolosa coscienza. 
Adesso mi ritrovo nella camera iperbarica, senza fiato. Tutti mi guardate da fuori, lasciate la vostra impronta sul vetro, il calore del vostro corpo, io lo sento. Grazie. Ma devo recuperare, inutile chiedere o aspettare. Tutti i sorrisi che farò saranno solo un lieve ricordo del passato.
Tutte le carezze che farò saranno solo il poco che ho da dare. Centellinate come la rugiada d’estate. Inutile ma presente insomma.
Mentre la musica continua a perforare i miei timpani, con costanza e fiducia di vittoria, io mi impongo di smettere di scrivere. 
Perchè talvolta è un’esigenza così forte farlo che la camera iperbarica non trattiene le mie mani su questa tastiera. Per fortuna.
Vi lascio con questa canzone e dei ringraziamenti…

Vorrei ringraziare mia mamma per avermi trasmesso questo “dono” della scrittura. Anche se qualcuno ama ricordarmi che non so’ scrivere, il dono di cui io parlo è la PASSIONE. Poi vorrei ringraziare tante, tantissime, persone perchè, da quando c’è il concorso di Grazia.it, hanno iniziato a seguirmi o mi hanno seguito con ancora maggiore interesse. Avere un  blog è ciò che di meglio potrei sperare e avere voi come lettori e amici è uno stimolo e una compagnia infinita. Grazie infinite a tutti.
Poi non lo faccio quasi mai ma vorrei fare qualche nome.
Roby-Semino & Roby (AUGURI ?) siete uniche. Monica… tu sai che ti adoro. Bhà, folle amico sconosciuto! Silvia abbiamo un appuntamento da fissare… La mia dolce Helena (seguitela ragazzi… ha bisogno dei vostri commenti per convincersi che è un’adorabile lunatica persona). Elle & Ely i miei folletti, una romantica e l’altra preziosamente saggia. Mauri (mybestfriend) per te non ho bisogno di parole. (Mi rendo conto che ora che ho iniziato non vorrei smettere più e fare il nome di tutti…acc…!!!).
E tutti tutti tutti quanti. Tutti voi che commentate o che preferite non farlo, che scrivete del vostro passaggio, siete così importanti per me! 
Passate una stupenda domenica.
Dalla camera iperbarica è tutto. 
Vi voglio bene.
Adieu.

Tempo of the City

standard 27 novembre 2012 20 responses
Prospettive.
Preoccupazioni.
Indifferenza.
Gran parte delle nostre giornate a destreggiarci tra queste parole.
Centellinando ogni energia.
Vorrei solo stare a guardare, osservare la lancetta, il tempo che passa.
Vorrei solo essere un piano liscio, cosparso di sapone.
Che non assorbe ma solo lascia andare.
Vorrei solo che le spalle di ogni passante non spingessero le mie, con strafottenza.
Egoismo, pena.
Disattendere inutili ideali.
Pupille vuote. Occhi assopiti.
Tra le strade di New York imparo a conoscere volti amici tra sconosciuti erranti.
Che non lasciano altre tracce che il loro silenzio.
Tempo of the City – 1938 – Berenice Abbott

Questo post lo dedico a quelle persone che in questi giorni mi hanno fatto stare bene e sorridere, alcune di queste persone sono le mie dolci amiche del mondo-blog che mi hanno regalato tantissimo con le loro parole, altre sono amiche “fisiche” che ogni giorno mi aiutano, mi ascoltano e mi spronano.
Grazie ?

ALIENS#6

standard 21 novembre 2012 13 responses

fitte, dritte e luminose, dardi infuocati.
vene attraversate dalla forza di un lampo,
uomo vitruviano, muscoli e tensioni,
fiamme libere, dannate, inferno del campo visivo.
mangiami ciclope, perchè ho peccato.
divorami, perchè lascio che ogni giorno sia spento.
questi lampi di luce rischiarino le ore di altri orizzonti.
puniscimi.
ho un’anima cupa.



(progetto ALIENS di Berenice&Maurizio)