SILENZI E RINASCITE.

standard 26 maggio 2016 4 responses

Il panico è un cappio. Un cappio che stringe forte il più potente dei respiri, quello della vita.
Il panico è un cappio che chiude il cielo in un fagotto di buio. Senza vie d’uscita.
Il panico nasconde la realtà, distorce le emozioni, cancella ricordi solari e sorrisi immediati.

Non esiste più la razionalità, l’efficacia degli abbracci, il rumore confortante di un messaggio sul cellulare. Il panico soffoca. Distrugge. Ammalia come una sirena ammaliava Ulisse. Ti penetra le orecchie con il suo canto sensuale e ti stordisce, lasciando che il mondo visibile sia solo in bianco e nero. Senza sfumature o arcobaleni. Quando pensi di esserne uscito forse sei all’inizio della rinascita. Tutto quello che puoi fare è provare. Caricarti di sorrisi, come un mulo sulle strade impervie delle Ande si carica di provviste. Caricarti di positività, energie e soluzioni. Lasciando per la strada quello che non serve.

Si diventa materiali, essenziali, forse troppo egoisti. Si diventa lupi solitari che imparano di nuovo (ma forse mai lo avevano imparato) cosa vuol dire stare soli con se stessi. Si diventa aggressivi e storditi dalle continue richieste. Si prendono decisioni totalmente inconsapevoli, nelle quali ti troverai a sguazzare qualche tempo dopo, a leggerne e cercare di capirne le conseguenze. Si va avanti, sapendo che di risposte non ce ne sono, lasciando che le cose fluiscano, scorrano, creino i loro percorsi solitari, solcando letti di fiumi leggendari.

Certo non sono una mamma nata con il buco, come scrissi poco tempo fa. E di perfezioni nella mia vita non ne ho viste molte. Spesso ho perso tempo a colpevolizzarmi davanti allo specchio, a farmi analisi di coscienza e domandarmi come e dove poter recuperare, dove fosse lo spazio per uscire dall’acqua e riprendere fiato. Ma questo privilegio adesso non ce l’ho. Riesco a malapena a trovare la forza di alzare la mano fuori dalle onde per farmi scorgere da qualcuno, lontano, sulla riva. Sono sempre a corto di fiato, ma probabilmente non posso essere diversa da quella che ho sempre voluto essere, incastrandomi in mille pensieri, prima che diventino impegni materiali.

Come sempre faccio voli pindarici. Ho iniziato a scrivere questo post nemmeno ricordo quando, l’ho corretto altre 4 o 5 volte sperando di finirlo, invece è rimasto qui, in attesa del suo momento (e del mio tempo). In questi giorni, in queste settimane, sono successe tante cose. Sono stati momenti intensi, di riflessione importante per me e, probabilmente, anche per chi mi sta intorno. Mi piace la vita, in tutte le sue sconnessioni e riconnessioni, in quello che regala comunque, anche nei giorni di vento in cui i capelli di parano gli occhi e non si vede più l’orizzonte, appiglio sempre valido e caro. Mi piace l’uso della parola, di cui spesso mi riempio le mani piuttosto che la bocca, non riuscendo come vorrei ad esprimere vicinanza ed empatia. Mi piace sbagliare, correggere (se possibile e se accettato), mi piace mettere alla prova con incoscienza tutto ciò che passa attraverso di me.

Certo è che, nei miei infiniti voli pindarici, dal decollo (crisi di panico) all’atterraggio, non dovete cercare tra le righe. Quello che voglio dire lo dico, con buona pace dei maligni. Quello che non c’è scritto non c’è e basta, non esiste. E se vi pare di scorgere qualcosa che parla di voi, sicuramente vi sbagliate. Io non so parlare per nessun altro che per me.

E’ il mio modo di fare introspezione, di conoscermi, di analizzare tutto fino allo sfinimento.

Fino a che anche il più tenace momento di panico si stufa…e se ne va. Lasciandomi sorridere.

IMG_20160503_193512

Le mie pause dall’ordinario

LA MIA VERITA’.

standard 22 marzo 2016 8 responses
Guernica-Picasso

Pablo Picasso – Guernica

La verità? La verità non è mai assoluta. E’ sempre e solo secondo noi.
Quella secondo me è qui. Tra le righe di questo blog, a sporcare le pagine di questo diario virtuale disarmato e povero di parole. Spesso anche povero di compassione.
La mia verità è che siamo indegni abitanti di un mondo bellissimo.
Lo imbrattiamo con la nostra presenza, come vampiri assetati del sangue del nostro vicino. Un vicino più povero, più ricco, più maleducato, più indegno di noi. Lo decidiamo come giudici soli, davanti allo specchio del nostro bagno, delle nostre case, al sicuro. Una privata giustizia fatta di avidità e odio.

La mia verità si chiama ignoranza. Ignoro volontariamente tante cose, così come ne vorrei conoscere molte. Ma informarsi è difficile, costa tempo, costa attenzione e memoria. Informarsi è lottare, aprire mente, occhi, cuore. E, diciamolo, il tempo è sempre troppo poco.

E se il tempo è troppo poco, usiamolo per stare bene. Non lo usiamo per indicare il peccatore. Non ci affanniamo sui social a spargere altra violenza verbale, fermiamoci a riflettere. A guardare le nostre vite che si intrecciano con le vite degli altri, a pensare quanto sono piccole e insignificanti. Ma per noi sono tutto. La vita che ci scorre dentro, quella delle persone che amiamo, quella che incroci al rosso di un semaforo. Le nostre preghiere, quelle senza religione, che siano di pace, ogni giorno.

Ogni giorno che affondano barche, che famiglie si spezzano sui nostri mari, che bombe incessanti scoppiano in Siria, a Bruxelles, a Parigi, o lontano. Dove non abbiamo tempo di arrivare a compatire, dove non conosciamo, dove non arriva il nostro sguardo, dove nessuno può sapere. Che siano di pace le nostre giornate, invece che di rabbia. Siamo nati dalla parte giusta del mondo, quella sicura, quella dove si può viaggiare, sognare, lavorare, mettere al mondo figli, quella dove si può vivere. Ci sentiamo invincibili. E allora tutta questa fortuna sfruttiamola.

Viviamo al meglio, al massimo delle nostre possibilità, che oggi è una bellissima giornata di sole, la stanza profuma di primavera, il cuore è pesante, come ogni giorno, ma non ci fermiamo al primo sguardo sulle cose. Vicine o lontane che siano la bellezza la decidono i nostri occhi, quelli dei nostri figli. Impariamo da loro, per una volta, qualcosa. L’innocenza. L’avvicinarsi allo sconosciuto titubanti ma interessati. Impariamo a stare alla larga dalle vendette, violenza chiama violenza. E la paura si, c’è, convive con noi, facciamocela amica. Non facciamoci soffocare dal buio.

La mia verità? E’ che la parte giusta del mondo è quella dove c’è amore.

Mentre scrivo queste righe, banali, mi ripeto dentro tante cose. E cerco di convincermi che la paura sia mia amica, anche se ha un brutto aspetto, intenso e terribile. Da quando sono mamma mi sono arresa a tante cose, ho fatto una marea di errori e tanti ancora mi aspettano sulla strada…ma non devo lasciare che la paura si impadronisca delle mie azioni. Abbiamo tanti burattinai che provano a manovrare le nostre vite, liberiamoci dai fili che vediamo sopra la nostra testa, il cielo sarà senza dubbio più azzurro.

BABY BLUES.

standard 25 aprile 2015 27 responses

E’ tutto ancora molto confuso, credo lo rimarrà per un po’.
Le mie idee, i fili da acchiappare al volo, le poesie che mi passano per la testa, per il cuore, per i sogni tormentati da rigurgiti e profumo di innocenza.
E’ ancora presto, per dire ciò che si prova in totale “sincerità”, lasciando da parte paure, ansie, sensi di colpa, difficoltà varie.
E’ fresca la nostra famiglia. Quella fatta da Elia, Dino e me. Una ancora poco esperta mamma lanciata in un mondo sconosciuto, quel mondo tenuto sotto controllo e gestito al millesimo di secondo fino al 15 aprile alle 9.35. Da quel momento tutto è cambiato. O forse era cambiato già da prima ma la mia presunzione non mi permetteva di vedere, oppure certe cose non le puoi capire fino a che non ci cadi dentro con tutti i piedi, i capelli e l’imprevedibile pesantezza dell’ignoto.
Scrivo libera, per quello che posso, cercando di arrivare nel profondo e vedere la superficie, come al mio solito, senza distruggermi di inutili pensieri e sensazione di incapacità. Scrivo perché mi sento ancora IBRIDO, essere non mutato ma mutante, in fase evolutiva, perché non esiste la staticità nella vita, non nella mia.
Ebbene. Il baby blues esiste veramente. Esiste e ti spiazza. Ti lascia senza fiato, ti stravolge, ti fa sentire dentro una galleria infinita senza via di fuga. Al buio totale, senza fiato, senza ossigeno, senza abbastanza fazzoletti per asciugarsi le lacrime che cadono incessantemente. Esiste questa sensazione opprimente e porta via i sorrisi, anche dove non dovrebbe esistere altro. Dice siano gli ormoni, dice che serva per far venire il latte. In questo senso ha funzionato…

E’ una situazione che per quanto possano raccontartela non è mai abbastanza. Da pensare solo a te stessa ti trovi a dover dipendere in tutto e per tutto da un piccolo essere che ha bisogno di te, del tuo latte, dei tuoi sorrisi e buonumore, dell’amore viscerale, quell’esserino ti toglie e ti da e non capisci che strada prendere, se stai andando nel verso giusto, se ESISTE un verso GIUSTO oppure tutto è guidato solo dall’istinto e dal cuore. Il cuore che perdi e ritrovi a fasi alterne, il cuore che fino a prima era dedicato a te stessa, alla tua giovane vita di coppia e hai paura di non ritrovarlo più. Si, non ci sarà più in quel modo in cui era prima. Dove pensavi solo per te, per vedere gli occhi del tuo amore pieni di soddisfazione, adesso devi trovare lo spazio. Quando si dice che l’amore non si divide ma si moltiplica, esattamente questo. Ed io che (sempre con presunzione) pensavo di avere il cuore così tanto elastico da adattarsi nell’immediato, anzi…che non ci fosse nemmeno lo spazio dell’adattamento ma che fosse così, spontaneo. Invece non lo è, ti guardi allo specchio e non ti riconosci, ancora un cambiamento, ancora uno stravolgimento, stavolta non temporaneo. E la paura ti mangia, ti morde, ti assale, ti fa sentire impotente di ragionare, con freddezza, di fronte alla nuova te che hai sempre desiderato con forza. Ora ti chiedi perché. Cosa c’era di così desiderabile in tutto questo. Nell’avere un figlio.

Piangi. Piangi lacrime di sconfitta. Poi ti senti di nuovo forte, quella forza che sai di portare nel cuore e nella testa, che ti ha sempre fatto andare avanti anche di fronte a cose dalle quali pensavi di non uscire. E le lacrime si diradano, come una pioggia passeggera di questa primavera così strana. E’ tutto così strano, così FORTE, così decisamente incompatibile con il prima. Sento una linea tracciata, come se esistesse una Berenice precedente e una Berenice successiva a quel momento. Un parto, per quanto chirurgico, pur sempre un parto, una nascita, un cambiamento totale e totalizzante. Devo imparare tante cose, devo imparare tutto. Ad avere fiducia in me stessa, a confrontarmi con nottate in bianco e tutte le mie paure e OGNI MALEDETTO MINUTO si presentano davanti. E non posso dribblarle, sono lì e se le scanso si ripresentano senza pietà alcuna. Devo confrontarmi con una falsa solitudine, perché per quanto mi ostini a dire che sono SOLA, sola non lo sarò mai più. Devo sorridere, guardare in alto, vivere il presente, non correre, avere pazienza, abbandonarmi senza programmare, abbandonarmi ai pasti consumati in fretta, alla casa in disordine, alle lavatrici da fare, alla nostalgia improvvisa e alla gioia totale, lasciarmi andare a questo amore viscerale accompagnata da un compagno meraviglioso che ho accanto, senza sentirmi così tagliata via dalla mia vecchia e felice vita.

Tutto ancora è possibile. Tutto e anche di più.

E accadrà senza che io mi faccia tante altre domande.

l'amore

I piedi che mi trascineranno nella nuova vita. <3 L’amore.

 

Blink. Come un battito di ciglia.

standard 19 luglio 2013 45 responses

Sono come un pesce fuori dall’acqua.

Annaspo. 
Un lato sulla battigia, vedo con un solo occhio. Lo giro e lo rigiro, camaleonticamente parlando, per guardarmi intorno, ma vedo cielo. Batto forte la coda, sento l’acqua vicina, ma non mi riprende con se.
È che sono un “pesce da weekend”. L’acqua il venerdì si avvicina di più, bagna la coda agitata, la seconda onda è ancora più forte, la battigia è solo un ricordo…le branchie riprendono un ritmo normale. 
Respiro. 
E se di solito sono un pesce in questo periodo sono diventata un fossile. È rimasta la mia sagoma su un sasso, qualche centinaia di estati fa, per risvegliarmi non serve nessun incantesimo, solo l’odore del sole. E del venerdì.
Recupero la mia forma, le mie squame lucenti, le pinne colorate e iridescenti, il guizzo e la vitalità. Il mio problema però non è il caldo, è il tempo, il tempo nel senso di ore disponibili per fare tutto quello che voglio. Il dono dell’ubiquità non è umano, ma a me basterebbe il teletrasporto.
Un blink e via, sono sotto l’ombrellone.
Un altro blink e via, sono in cucina a preparare la cena della domenica.
Quindi…annaspo. Respiro. Annaspo. Respiro.
Oggi respiro. Ma ho passato una settimana ad annaspare. A cercare di assaporare le cose belle che mi sono successe, senza per forza credere che svaniscano con un blink. Che poi io non sono pessimista…è che sono un po’ insicura.
E quando sono insicura cosa faccio? Mi fossilizzo. Mi chiudo. Doppio chiavistello, occhi persi nel vuoto. E mentre sono lì, sola, che vago nel torrione del castello, non mi rimane altro che rifugiarmi nelle certezze: forno acceso, frusta, ingredienti…e una penna per scrivere.

Mercoledì 17 luglio
Guardavo l’uovo e lo zucchero, nella ciotola, prima di fare il dolce.
L’arancione forte che si riempie di marroncino chiaro, color zucchero-di-canna.
I granelli che assorbono la liquidità.
Una questione di punti di vista, chi assorbe cosa, chi si impasta per primo, chi accetta la forma dell’altro.
Anche la mia vita è così, trasmessa a tratti su canali diversi dei quali non conosco il numero. Sobbalzo, in preda ai singhiozzi di un momento storto. Ci vuole così poco ad abituarsi alle belle forme, quelle che corrispondono, che non conoscono bolle d’aria, separazioni. Ci vuole così altrettanto poco per distaccarsi.
Aprire la scatola, in modo ordinato, togliere qualche pezzo. Richiudere. Smontare e rimontare, come con le costruzioni, come da bambini, quando tutto è possibile.
Si tratta di equilibri messi su basi paludose, in fondo io sono Maremmana, non può essere che così: acqua bassa, silenzio, piccole zanzare letali che lasciano cerchi concentrici impercettibili sulla pozzanghera, fili d’erba sporadici.
Quindi apro la scatola, il fiocco è bello ma il contenuto è povero, sono proprio io quella che vedo?
 
René Magritte – Falso specchio (1928)
Blink.
Per un attimo chiudo gli occhi. 
Sento il mare che mi rapisce di nuovo, posso respirare, guardare dove voglio, qualche paura nel taschino, che come un fiore perde i petali e svanisce.
Sento di non avere orizzonti ma solo possibilità.

Irregolare e profumata (come la buccia di un pompelmo rosa).

standard 31 maggio 2013 73 responses

Tutto comincia da qui.

Giuseppe Sanmartino – Cristo velato (1753)

Perchè anche se studi storia dell’arte per anni, non è che ti puoi ricordare tutto. Ti basta poi un accenno e qualcosa ti risveglia delle emozioni. Dopo aver vissuto l’arte in modo accademico adesso la vivo in modo emozionale…o forse sono sempre andate di pari passo, solo che adesso è molto più forte ciò che sento piuttosto che ciò che so, quando guardo un’opera. 
La mia sensibilità mi fa esplorare ogni volta delle curve mai viste, di quel velo sul volto. Ed è come se lo toccassi, se lo sentissi su di me. Lo vedete quasi impalpabile, leggero, ma è marmo. 
Pesante, bianco, puro e duro. 
Che abilità nel tradurlo in leggerezza, nel renderlo come un sottile strato di cipria, da spazzolare via con un soffio di vento, come faccio ogni mattina sulle mie guance, colorandomi di rosa chiaro, per non essere pallida e vulnerabile.
Tutto comincia dove decido che debba cominciare.
E oggi si comincia dal ricordo di un velo. Quello che copre la mia testa di nero, quello che mi comprime così forte da non farmi ricordare come si prende fiato, immersi nel nulla.
Ed è così profondo, così scuro, infame, bastardo, sleale, che combattere non serve, se non a farti affogare ancora di più. Anche se mi impongo di stare a galla, annaspo.
Quel velo è la P A U R A. Con la P maiuscola.
Ti spara alla schiena, prima che tu finisca di camminare verso il punto accordato, non si fa guardare negli occhi.
Ti spegne tutti i pulsanti, i ricettori coscienti dell’amore. 
Tutti abbiamo vissuto qualcosa che ci ha attaccato addosso delle macchie nere di pece, le mie le conosco bene. So quanto sono grandi, profonde e vorticose, ma quando decidono di staccare la mia spina con i sensi mi lasciano inerme. Ho paura e basta, in quel momento. Che duri un minuto o un pomeriggio, non riesco a vedere, è orribile. Rimango ferma, immobile, in uno spazio in cui non c’è niente. 
Il velo mi soffoca, il buio mi invade.
Poi passa. Non so come sia possibile, passa. Ti svegli la mattina e l’unica cosa in cui affoghi sono gli occhi azzurri della persona che ami. E nel muffin al cocco fatto la sera prima.
E hai bisogno di riempire le tue ore di quella frivolezza solare che scolpisce ogni giorno la tua vita, senza malignità, senza nascondigli, senza angoscie e impervi e tortuosi percorsi.
 
Tutto comincia dove io decido che debba cominciare.
Comincia che il buongiorno che scrivi ad un’amica diventa il tuo post. 
Il post composto come una torta a strati.
E quindi inizia dall’arte e finisce con un sorriso.
E io con lei sono un soffione. Abbiamo due cervelli che se ci soffi sopra sfuggono alla scatola cranica (dice Sandra). Sempre più poveri di materia grigia, ogni giorno (dico io). Poco cervello e scappaticcio (dice lei).
Perchè io ho un’amica che dice che siamo (io e lei) fiorite come due zucchine.
E grulle come i grilli alle Cascine.
E io aggiungo che siamo fave come le fave.
Genuine, vive, pur sempre GALLINE.
“La mia amica mi dice di sorridere, di essere felice oggi perchè oggi conta e non domani.
La mia amica mi dice di essere positiva e piena di amore perchè l’amore chiama l’amore e noi (io e lei) non sappiamo vivere senza l’Ammmmmore, quello con la A MAIUSCOLA e con tutte le mmmmm del mondo.
La mia amica mi dice che mi vuole bene.”
 
Grazie Sandra. Io ti dico che sei speciale.
Oggi sono un cerchio che si chiude.
Ne decido l’inizio e la fine.
Senza che mi giri la testa.

(Siete confusi? Lo faccio per confondere la paura. Sia mai che volesse tornare.)

fuochi di paglia

standard 26 luglio 2010 2 responses

vivere sempre senza sicurezze, sul filo del rasoio.
vivere svegliandosi e rendersi conto che la realtà, i sogni, gli incubi talvolta si bilanciano.
ho aperto gli occhi stamani, vedendomi allo specchio.
ho visto la mia anima a nudo, come un flash.
ho visto chi non vorrei, chi mi tormenta, chi non mi lascia in pace.
e la colpa non è “sua”.
la colpa è solo mia.
o forse non è nemmeno questione di colpe.

non riesco a scrivere stamani.
il sogno che mi ha svegliato, ha già detto tutto.
per una volta non vorrei davvero che ciò che sogno, fosse vero.
ma vorrei che il fuoco che penso di sentire, non si rivelasse una cosa passeggera e accecante.
il mio cuore non è fatto di paglia.

vizio.

standard 18 aprile 2010 3 responses

il sole batte sui tetti di fronte a casa mia.
è una domenica splendente di luce.
il mio cuore è ferito, come spesso accade, perchè mi preservo da tutto ma mai abbastanza.
vorrei ascoltare una musica così forte che mi illuda di non sentire per un attimo la delusione, che mi nasconda le voci che sussurrano, sempre più forte, nelle mie orecchie. sono parole di stanchezza, di logoramento.
mi chiedo il perchè ma non ho mai una risposta convincente. non ce l’ha mai nessuno. non sono mai abbastanza le cose che posso dire per giustificare questo vizio. come chi fuma e sa che gli fa male. non ho vizi di nessun tipo ed è forse per questo che non riesco ad uscire da questo. questa scatola è chiusa e nessuno mi apre e mi porta via, io da sola non ce la faccio a liberarmi, continuo a dimenarmi ma non è abbastanza. questa stanchezza non raggiunge mai l’insufficienza, rimane sempre in equilibrio, e mi tormenta. ciò che fa sopravvivere tutto questo è la paura.
la paura muove il mondo, fa fare le cose sbagliate, acceca gli occhi e fa essere egoisti.
io ho paura di perdere un pò di me, perdendo tutto questo, un “tutto questo” di cui non posso mai parlare, perchè non si può spiegare, perchè non si può, perchè nemmeno io lo capisco e lo so gestire. e questo egoismo ci cancella ogni giorno di più, lo strascico dei nostri rancori è pesante e prima o poi chiederà il conto.
non voglio sapere come sarà il mio futuro, non ho la presunzione di prevedere niente.
so come è stato il mio ieri, dove la sofferenza è sempre passata in secondo piano di fronte ad un sorriso.
so come è il mio oggi. il questo giorno di sole. è un oggi in cui le lacrime sono aratri che solcano il mio viso, è un oggi in cui mi sento umiliata, delusa, debole, invisibile.
è un oggi in cui so che cederò al mio ieri e forse è anche questo che mi fa stare così. la mia arrendevolezza di fronte alla paura, la mia percezione delle emozioni, sempre troppo esagerata. non ho bisogno di questo, non mi merito questo.
non so perchè, allora, in questo oggi di sole, ne sono ancora così dipendente.