NON TUTTE LE MAMME NASCONO COL BUCO.

standard 15 aprile 2016 15 responses

Bach. Sinfonia sulla IV corda.
Immagino Piero Angela che racconta la mia storia (che lusso sarebbe). La mia storia lunga un anno, quello più intenso e forte che si può immaginare.

Primo mese. Potrei dire primo giorno, prima ora, primo sguardo. Non c’è un momento che non valga la pena raccontare. Così come non c’è un momento che non vorresti tornare indietro. Alla libertà di scelta. All’emancipazione. A quando potevi decidere di te stessa e per te stessa. Pochi momenti per pensare, pochissimi per andare al bagno, zero di solitudine. Rigurgiti come se piovesse. Ti senti come se ti fosse passato un tir sopra tutte le ossa, gli occhi pesano, i pensieri anche. Il cesareo non lo hai ancora “smaltito” e il corpo che vedi allo specchio è nuovamente cambiato. Ti chiedi se ce la puoi fare, la risposta è si, a tratti, come le code in autostrada.

Secondo mese. Le cose sulle quali ti eri soffermata a riflettere del primo mese prendono forma, si plasmano sulla solitudine che aumenta in maniera proporzionale alla perdita dell’indipendenza. Una solitudine fatta di due individui fusi in un’unica richiesta: amore. L’amore che si riflette, si allunga come il sole che tramonta sempre più tardi, lasciando il suo residuo in ogni giornata, rendendola lunga, infinita, difficile. Il baby blues ormai è roba passata ma le lacune di cui riempi le tue giornate sono consapevolezze. Anche se non hai più paura a mettergli il pannolino e il seno non è dolorante, ogni mattina è una sfida. Sfida a te stessa, stanca, sfatta, consumata. L’amore che si riflette, si, con il fastidio. Ma, nonostante tutto, sei sempre lì. Sveglia. Reperibile.

Terzo mese. Caldo. Torrido e insopportabile. Caldo impossibile anche per te, amante del sole. Esci, ma non basta. Passeggiate a qualsiasi ora, supermercati, centri commerciali, macchina ossessivamente parcheggiata all’ombra per non friggere un figlio ancora minuscolo ma che ti fa sentire potente, indispensabile, fiera. Alcune paure sono archiviate, altre sono in agguato. Ti accorgi che non puoi soffermarti mai, tirare il fiato, essere protetta dalla sicurezza di un obiettivo raggiunto. No, non basta. E’ sempre tempo di cambiamenti per te e per EliaMirtillo.

Quarto mese. Ancora caldo. Pazienza arrivata ad una soglia mai conosciuta prima. Le notti in bianco sono innumerevoli, quelle poche ore che riesci a mettere insieme di sonno sono un traguardo degno di una ultra maratona di montagna. Però sopravvivi. Ti imponi per farlo almeno una doccia al giorno, per spazzare via pensieri, per coccolarti 5 minuti, per concederti respiro, vuoto, per abbattere il senso di colpa. Quello che ti assale subito dopo aver inveito perché non cedi al sonno, per l’ennesimo rigurgito sul divano, sul bavaglio pulito, sulla tutina nuova. Speri in una compagnia che manca, manca sempre. L’amicizia assume nuove prospettive. Vai avanti, un passetto in più. La sdraietta è un’alleata, insieme alla fascia, per qualche minuto di pace. Perché i tuoi occhi sono sempre più attivi, attenti, vispi. Perché la tua crescita è la sostanza e il compimento di ogni giorno.

Quinto mese. L’estate è quasi passata. Il mare lo hai conosciuto per un giorno, ti è piaciuto. Sei sempre più coccoloso e tornito, intanto si avvicina la data del matrimonio e con lui anche lo svezzamento. Ogni cucchiaio che passa ti rendi conto che si, c’è sempre qualcosa di cui lamentarsi. Basta saper smettere al momento giusto e riconoscere tutto il bello fatto fino a quel momento e tutto il bello che dovrà ancora arrivare. Pensi al ritorno al lavoro, al nido, progetti che devi archiviare ma altri che non vuoi mollare, nonostante il tempo sia sempre più nemico delle tue giornate. Con le pappe arriva un’altra carrellata di ansie. Impegni. Scelte. Passi da fare con calma. Tutto quello che credevi impossibile da chiedere a te stessa lo fai senza nemmeno accorgerti di farlo.

Sesto mese. Aggiungi ingredienti alle pappe. Vedi i continui progressi di tuo figlio. Hai voglia disperata di fare qualcosa per te, solo per te. Torni a correre, non ci sono alternative, è quello che vuoi fare. Vorresti anche uscire con le amiche, leggere, fare un viaggio, stare spensierata su un prato lasciando tutti fuori dalla porta. A piccoli ma costanti passi capisci cosa è meglio per te. E quello che è meglio per te è sicuramente la cosa migliore che puoi fare anche per tuo figlio. Non è presunzione è solo una deviazione che hai trovato sul cammino. Di quelle irreversibili. Non hai più voglia di chiedere, insistere, mendicare. Inizi a tirare su un po’ di muri, per proteggere la tua vita stanca, perché non cerchi compassione ma complicità, condivisione. Ci sono degli spazi che ti fanno tirare il fiato e ci sono, soprattutto, le risate del tuo bimbo.

Settimo mese. La tua voce è dolcissima. Parla di “tatatata bababababa mamamamama”, di mondi colorati e sospesi, parla di armonie, di passeggiate, di scoperte che ti fanno ammirare tutto con occhi nuovi, quelli del tuo bambino. E’ filtro magico e caleidoscopico, il tuo sguardo acceso, mai domo. E’ sempre più bella la sua dolce compagnia, quella di un bambino tranquillo e osservatore come il papa’ ma curioso e un po’ folle come la mamma…peccato per le notti. Dure, minacciose, buie. Le luci artificiali che le illuminano la stanza non sono abbastanza. Perché è così difficile? Cosa stai sbagliando? Perché? Ti riempi di domande, alternando momenti di totale disperazione con altri di speranza. Ma, al momento, non ci sono vie d’uscita. Il tuo ottimismo infinito vacilla. Le gambe tremano.

Ottavo mese. Torni a lavoro. E’ dura stare senza di lui, senza il tuo tempo libero guadagnato nelle ore dell’asilo, è dura trovare un nuovo “nuovo” inizio. Ma a quanto pare la vita di ogni essere umano, se donna soprattutto, è destinato a questo. Riadattarsi. Riplasmarsi. Mettere un punto e ripartire da zero. Essere una persona uguale ma diversa, rischiando ogni volta di non riconoscerti, perché non solo cambia l’estetica ma anche le aspettative che hai su te stessa, su tutto quello che ti sembra di fare e, invece, agli occhi degli altri, ti accorgi di non fare. Insomma…ti senti trasparente. Ma forse è meglio così. EliaMirtillo cresce, sta seduto bene, si rende conto di ciò che succede intorno, si fa amare per la sua dolcezza infinita, per la sua morbidezza cronica, per la sua pelle liscia e profumata, per quella bava così copiosa. Si fa amare perché non può essere altrimenti, ai tuoi occhi, innamorati.

Nono mese. Il primo Natale, il primo anno nuovo, il primo antibiotico, la prima febbre, tosse, bronchite, virus gastrointestinale. I primi 3 fine settimana a disperarsi perché stai male. Nono mese, sesta malattia. La prima corsa al Meyer con il cuore in gola per una febbre che non vuole scendere sotto i 40°. Poi passa. Passa e ti senti invincibile. Nonostante la stanchezza assuma delle forme di sopravvivenza mai conosciute e pensate prima, nonostante le gambe cedano ma molto più spesso cedano i nervi. Passa tutto. La regola imparata in questi mesi, vivere alla giornata, è indispensabile ora più che mai, per non pensare troppo al domani, per non illudersi ne caricarsi troppo di afflizione e ansie. Insomma…tutto regolare. Essere mamma ti sta insegnando tantissimo. Ti sta togliendo degli orpelli, ti ha reso più pratica e meno filosofica. Ti fa sorridere sulle cose che prima ti preoccupavano. E’ come se davanti a te ci fosse un grandissimo casellario e tutte le priorità si fossero scombinate e avessero lasciato libere tante caselle sparse. L’abilità di riposizionarle, piano piano, è sempre più immediata.
Ah. Si sono fatti avanti i primi due dentini.

Decimo mese. Dopo mesi di preoccupante stabilità, finalmente gattoni. E come ogni volta ti trovi a “maledire” il momento in cui hai desiderato che scoprisse nuovi mondi, come sempre ti è successo in questi mesi. Perché essere madri è un percorso a tappe, dove conosci ciò che hai appena passato, per il quale hai conquistato la maglia gialla, quella rosa e quella del gran premio della montagna. Ma le tappe che verranno le aspetti con ansia e inquietudine, curiosità e fibrillazione, sperando in evoluzioni che quando arrivano non sai ancora come affrontare. Gestire le potenzialità di un piccolo essere che, piano piano, si sta staccando da te, potenzialità che non sono “tue” ma appartengono ad un “altro” che comunque fa affidamento completamente su di te. Insomma, un gran casino. Il bello del gioco è tutto qui, nel farsi confondere da tutto questo casino, rimanendo sempre con il sorriso sulle labbra. E come si fa a non esserlo, con lui accanto?

Undicesimo mese. Il tempo passa così velocemente, complici le settimane lavorative intense, che non hai nemmeno tempo di pensare a quello che sta per arrivare. Il suo primo compleanno (tadadadaaaaaaan). Non sai se vorrai festeggiare, sei confusa, ti senti in una specie di baraonda che ti fa rimbombare le orecchie. In fondo è una festa più per te che per lui, inconsapevole attore protagonista di questi 366 giorni intensi e, talvolta, complicati. Ma piano piano intravedi un barlume di vita, le notti cominciano ad essere meno pesanti e, dopo tanti tentativi, sacrifici inutili, forse hai trovato la strada giusta per la sopravvivenza: niente tetta la notte e via, in camera da solo, come i bimbi grandi. Improvvisamente ti chiedi perché non lo hai fatto prima. Perché forse per tutte le cose esiste un momento giusto? Perché è arrivato quel momento. In cui sei consapevole che ce la puoi fare da solo, quasi fino a sentirti ricco e straripante d’amore. Il momento in cui la fortuna e l’amore pieno vanno di pari passo, camminando in sincronia. In cui non hai bisogno di abbracci rassicuranti di continuo ma solo a giorni alterni. Il momento in cui senti di dover lasciar in pace tutti, dai tuoi tormenti, perché essere mamma agli occhi degli altri è di una noia incredibile. Invece agli occhi tuoi sta prendendo una forma quasi divertente, alla quale non potevi credere fino a qualche tempo fa. Essere mamma è un percorso, come lo è la felicità. All’inizio ti sembra impossibile, un tunnel afoso e soffocante, senza uscite. Poi diventa difficile, un ginepraio di rovi ma forse districabili. Poi diventa fattibile, pieno di ansie e graffi, ma quei rovi si trasformano piano piano in foglie verdi lucide, nuove. Poi diventa reale. Consapevole. Giusto. Bello come devono essere le cose belle. Quasi inspiegabilmente ti piace anche quella “solitudine a due” che prima ti chiudeva a doppia mandata la gola.

Dodicesimo mese. Ci siamo. Aprile è qui. Il 15 aprile saranno terminati i 12 mesi dalla sua (e tua) nascita. Compirà un anno. Quel cosetto lì, insignificante ma indelebile, con quelle gambette corte e ciccione, con le mani tornite e gli occhi marroni scuri, quel panzone lì compirà un anno. Quello che ti ha fatto penare di notte e gioire di giorno, quello che ti butta le braccia al collo ogni volta che ti vede, facendoti spappolare il cuore di gioia, quello che tu amerai, incondizionatamente ogni istante ma che all’inizio non sapevi come fare, e ti sei chiesta tante volte se quella fosse stata la cosa giusta. E ora invece ti chiedi se farla di nuovo, sta cosa. Perché nel tempo ti sei data delle risposte, il tempo come sempre ha aiutato a dipanare anche queste matasse strane e sconosciute. La sensazione è bella, ora. Respiri a pieno la primavera, le belle giornate, i suoi sorrisi sull’altalena, ti prendi tutto il meglio e se non hai occasione di farlo ti manca, perché è fiorita e profumata, questa primavera. E’ ricca di sole, di margini di miglioramento, è morbida al tatto come l’erba del prato di casa tua. Quella dove lo hai seduto per fargli assaggiare le prime margherite, lasciandolo per un attimo fuori dall’eterno controllo che vorresti, per lui.

1annoElia

Passo dopo Passo…

La sinfonia è finita. Per un attimo ti senti persa, senza musica. Ti guardi intorno, le mura della vostra piccola casa vi proteggono. Sono piene di colori, così come vorresti fossero sempre le sue giornate, senza preoccupazioni, paure, dolori. Non è il tempo di pensare a questo, è tempo di festeggiare. Di stare insieme, condividere, spegnere la prima candelina.

E mentre la lucina fluttuante si spegne, spengo pensieri e parole e corro da te.

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA.

standard 27 novembre 2015 8 responses

Ho pulito la borsa. Una di quelle cose che fai proprio quando sei arrivata ad un punto di svolta, oppure quando hai un po’ di tempo da dedicare alle cose inutili. Tipo oggi. Oggi che il mio Mirtillone rimane al nido fino alle 2. Oggi che comincia qualcosa di nuovo. Di nuovo qualcosa di nuovo. Direi che questo 2015 non è stato avaro per me, ma in generale non lo sono mai le mie giornate, basta solo saper guardare oltre, apprezzare ogni dettaglio che la vita ti presenta, anche il più insignificante.

Ho trovato, dentro la borsa, un sacco di spazzatura. Fazzolettini, biglietti del cinema di un’epoca dimenticata, tante penne, scarabocchi, scontrini, un deodorante finito (?), salviettine per culetti delicati, cose varie ed eventualmente inutili.
Ho trovato la voglia di mettermi qui e raccontare di questo giorno nuovo, perchè anche di venerdì possono esserci degli inizi. Dopo (quasi) 7 mesi e mezzo, passo qualche ora lontana dal mio piccolo. Oggi dorme fuori. E io cerco di resettare i pensieri e il bisogno della sua presenza. Si, perchè in mezzo alla voglia di dormire ormai cronica e la voglia di stare un po’ per i fatti miei, la necessità di sentire i suoi vocalizzi, le sue richieste e le sue piccole mani sul mio viso è una cosa che non riesco a frenare. Questo giorno nuovo porta con se la distanza e la consapevolezza. Il distacco e il mio nuovo inizio. Dopo 9 mesi tornerò in ufficio, martedì.
Sicuramente più magra dell’ultima volta, sicuramente più disordinata nei pensieri, più occupati da quella piccola presenza di cui parlavo sopra, sicuramente di nuovo nuova.

Quante volte ci re-inventiamo noi donne? E’ una vita piena di cicli, sempre diversi l’uno dall’altro, momenti che pur rincorrendosi, lasciano spazio a orizzonti di soluzioni sempre diverse, cicli simpatici e antipatici, cicli storti e sgonfi, cicli d’amore e di lacrime. E poi arriva la gravidanza. L’ennesimo cambiamento, un susseguirsi di domino che fanno della nostra vita un totale casino. Bello, bellissimo e sconosciuto. Ma pur sempre casino. A noi maniache del controllo queste cose fanno andare un po’ fuori di testa. Ma non te lo puoi permettere, non ora, non un Mirtillone che ti cresce tra le braccia. E quindi adesso mi re-invento la Berry di prima. Quella puntuale e precisa sul lavoro, cercando di ammorbidire quello che resterà delle mie giornate, per godermelo a pieno, quel fruttino di bosco in lievitazione che ho la fortuna di avere accanto. Marito compreso.

Sarà difficile. Sarà un nuovo blues, come il baby blues di qualche mese fa. Sarà nuovamente lacrime, sono qui che le aspetto guardinga, pronta con il fazzoletto. Sarà la mia vita di prima, quel prima che non esiste più, che si è arricchito in modo atomico, sarà la Berry che risponde al telefono BalloonExpressBuongiornoSonoBerenice tutto d’un fiato e sarà la Berry che si dispera per un nuovo raffreddore del Mirtillone erede.

Sarà, sarà quel che sarà. L’importante è che ci sia io. Presente, ben salda, con i piedi per terra.

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Tratto da “Le tre età della donna” di G. Klimt

CINQUE.

standard 8 settembre 2015 7 responses

Avete presente quando va via la luce? Siete tranquille, in una stanza che conoscete, ma improvvisamente al buio. Vi guardate intorno ma vedete solo buio. Poi piano piano iniziate a distinguere le cose, le pupille si allargano, anche quel filo invisibile di luce arriva ai vostri occhi. Gli spigoli prendono forma, le geometrie si ricreano, gli spazi tornano ad essere possibili. Le mani e l’olfatto aiutano a percorrere questi sconosciuti passi, a sentire le irregolarità del percorso, a non barcollare troppo, a non cadere, mantenendo questi equilibri precari che aiutano le mie giornate.

Ecco. Mi sento così ogni giorno. Ogni minuto, ora, cambiamento. Ogni poppata, ogni sorriso, ogni bacio che affonda nelle morbide guance. La mia vita al buio, sconosciuta e misteriosa, con un altro piccolo essere che assorbe ogni energia. O quasi. Con il tempo sto imparando a lasciare qualcosa per me, mezz’ore ritagliate tra le sue nanne, mezz’ore guadagnate con il papo che mi permette di scappare per le colline a correre, di nuovo, finalmente.

Ieri sera ho spento la luce. Ero in cucina. Ho fatto pochi metri tra il tavolo e il lavandino, poi ho svoltato e camminato accanto ai fornelli. In tutto saranno cinque metri o poco più.

Cinque metri di buio, cinque mesi di sconosciuto. Siamo forti, noi mamme. Mica me lo immaginavo sapete? Siamo incredibili, a volte se ci penso quasi mi commuovo da sola, benedetto ego gigantesco. Ma menomale che c’è, perché quando mi guardo allo specchio faccio un po’ fatica a riconoscermi. Baffetti a parte. Seno che arriva alle ginocchia a parte. Pancetta flaccida a parte. Insomma, estetica a parte, faccio fatica. Ma sono sempre io, siamo sempre noi, io e il mio nonmoltofuturo marito. Siamo piccoli con lui, siamo grandi grazie a lui. Siamo sempre noi ma la nostra vita gira intorno ad una giostra che comanda solo lui. Mai dimenticare di esistere. Mai dimenticare che quel noi ha portato a lui.

Ma ogni tanto, quando vagate al buio e credete di mollare, ricordatevi di quanto siete importanti, voi.

E non smettete mai di amare.

– post da leggere responsabilmente, nei momenti di scarsa fiducia –

cinque

CINQUE. Quasi cinque mesi d’amore in due anni e mezzo di altro amore. Parentesi quadre e graffe a parte.

LUCY.

standard 19 ottobre 2014 65 responses
Estremismo.
Sempre sbagliato.
Sempre scelto per poca capacità di vivere.
Sempre scelto per riempirsi la bocca di parole, proclama, rabbia.
Sempre e comunque esagerato.
Gli estremi non mi piacciono.
Che si parli di politica, di disastri ambientali, di tragedie annunciate o non, di attacchi terroristici, di shopping o blogger con manie di protagonismo.

Quest’estate ho conosciuto una signora. Anziana, piena di capelli vaporosi e biondi. Con il rossetto un po’ in disordine e tutto il resto in perfetta armonia.
Ero in aereo, già seduta al mio posto, scalpitante di rientrare a casa dopo 15 giorni di lavoro estenuante in Sicilia, per l’evento di cui mi occupo per gran parte dell’anno. La sera prima il volo era stato cancellato, mentre già pregustavo l’abbraccio del mio amore in aeroporto. Invece un’altra notte lontani, io relegata con tutto il carico dello stress, dei pensieri e del malumore in un hotel periferico e freddo, come tutti questi non luoghi di passaggio e scarsa permanenza, che mi lasciano sempre addosso strane sensazioni. 
Insomma, non stavo nella pelle. Lucy è arrivata chiedendomi di alzarmi, perché i due posti liberi vicino a me spettavano a suo figlio e lei. E pensare che quello non sarebbe stato il mio seggiolino, mi ero spostata per far viaggiare insieme una coppia. Mai credo di aver fatto una scelta migliore.
Lucy, non ti scorderò mai. Non so perché non ti ho chiesto nemmeno il numero di telefono, forse doveva andare così. Sei stata un incontro prezioso. Uno di quegli incontri che vanno metabolizzati, assorbiti, collocati, che ti lasciano quasi incapace di descriverne cosa ti hanno lasciato. 
Si è seduta vicino a me, il posto al finestrino per il figlio disabile, con un leggero ritardo fisico e mentale. Lui, l’ultimo dopo 3 figlie in uno splendido matrimonio, con un amatissimo e scomparso marito. Lucy, professoressa, donna, madre, moglie, nonna. Siciliana figlia di emigranti in Argentina, che ha desiderato tornare nel suo paese d’origine, al quale si sentiva così tanto legata. Ogni sua figlia una storia, ogni dettaglio un frammento da conservare nel cuore. 
Il volo è stato terribile. Era fine luglio ma c’era un forte temporale, tutto si muoveva in quell’aereo, ed io, impauritissima, mi concessi qualche lacrima. Lucy mi ha tenuto per mano, non so nemmeno io per quanto, mentre Ezio, suo figlio, se la rideva come un matto perché a lui piace il cielo, perché per lui il cielo è il massimo della meraviglia che si può raggiungere e perché così, anche se succede qualcosa, siamo già sulle nuvole. Piangevo, sorridevo, Lucy mi consolava e raccontava, raccontava, raccontava. Mi raccontava di quando, dopo la morte di suo marito, decise che non avrebbe mai messo se stessa in un cassetto. Non avrebbe mai amato un altro uomo ma lei, donna, aveva il suo spazio e la sua vita, nonostante tutto. Per questo, mi spiegava, portava sempre il rossetto con se e sulle labbra, perché, guardandosi allo specchio, avrebbe dovuto piacersi, amarsi, sorridere alla vita. Aveva 4 figli da crescere e niente da lasciare indietro. Ha insegnato per anni spagnolo, ha tradotto testi, continua tuttora a farlo come specialista per i tribunali, in giro per l’Italia. Non ricordo se mi ha detto il suo cognome. Ma la sua stretta di mano, i suoi orecchini e collana bellissimi, i vestiti curati, il beauty sulle gambe con le caramelle per Ezio, il rossetto, i fazzolettini, la moneta pakistana portafortuna che mi ha regalato, forse per farmi credere che il nostro incontro sia accaduto davvero.
Cara Lucy, quando l’aereo barcollava mi hai detto di pensare al mio matrimonio. Di pensare ai miei nipoti, alle mie sorelle, al mio amore che mi aspettava all’arrivo. Ti sei commossa quando ci siamo salutate e mi hai detto “Io faccio il tifo per te”. Un volo Catania – Firenze non dura molto, giusto il tempo di uno sguardo fugace. Dura il tempo di un incontro scritto nelle nostre vite. 
Perché io dovevo volare il giorno prima, non dovevo essere seduta lì. Un senso dovrà pur avere tutto questo.
E il suo tifo, nella mia vita fortunata e bella, è arrivato alla grande. 
La settimana dopo, come tutte le successive fino ad oggi, sono state stravolgenti.
Stravolgenti in senso bellissimo, cara Lucy.

Un piccolo cuore ha iniziato a battere 
nei giorni dopo il nostro incontro, e cresce. ?

Abbiamo comprato casa.

Sto toccando con le mani così tanti sogni che non mi sembra vero. Il tuo tifo è arrivato tutto. Pieno, vero, sincero.
Le tue mani rugose sono state un dono infinito, così come i tuoi occhi azzurri e pieni di speranze.
Grazie.

Questi siamo noi. Mirtillo, papone e io.


Lucy, incontrarti è stata la conferma di quello che mamma mi dice quasi ogni giorno. 
Che la nostra vita è un dono, che quello che ci succede è prezioso, che ciò che seminiamo, con grande fatica e a volte anche dolore, poi piano piano germoglia, e non quando lo scegli te, secondo una pianificazione perfetta. E’ perfetto il tempo che sceglie perché evidentemente non poteva esserci un momento più o meno adatto. 
Lucy, incontrarti è stato come è per qualcuno incontrare mia mamma che, sul treno, fa amicizia con chiunque le sia accanto. Chissà come queste persone rimangono colpite da lei, che è un’anima speciale, come te. Certo, sono di parte, è la mia mamma.
Oggi è anche il suo compleanno.
Spero di regalare a mio figlio l’educazione, la gioia di vivere, la correttezza e l’onestà come lei ha fatto con me e le mie sorelle. Mamma mi ha avuto a 23 anni, dopo poco più di un anno dalla mia sorella maggiore. Era praticamente una bambina, ingenua e pulita. Io sono meno bambina ma sempre pulita e senza malignità. 
Cara Lucy, ti scrivo e credo che mai potrai leggermi, ma lo faccio commossa, perché ti parlo di grandi cose. La mia giovane mamma che continua ad essere la mia più saggia compagna di vita, il mio corpo che si modifica e cresce, il mio cuore che non è mai sazio ma sempre consapevole della propria fortuna, regalata e meritata allo stesso tempo, la mia vita piena d’amore.
Mi cadono le lacrime sulle guance e sulla pancia.
Sono così ricca nella mia povertà, ma non ho bisogno di altro.

Nessun estremismo, solo amore incondizionato.
Grazie Lucy, della tua traccia. 
Grazie Mamma, delle tue innumerevoli tracce. 
Auguri.

Per Te.

standard 12 maggio 2013 76 responses
Con le mani sporche di impasto scrivo su questa tastiera, scrivo e cancello, perchè tutto vorrei dirti senza essere mai banale, perchè tu mi hai insegnato a scrivere, perchè tra le infinite cose che potevi darmi hai scelto le migliori.

UNA FAMIGLIA BELLISSIMA.
L’AMORE & LA LIBERTA’.

Quello che racchiudono questi miei pensieri servirebbero centinaia di pagine per descriverlo a parole, ma basta solo uno sguardo quando torno a casa, che ogni spiegazione diventa inutile.
Ti amo Mammina.

Berry, 4 mesi – Annamaria, 23 anni – MARZO 1983
E perchè non posso che amarti se ogni tanto, la mattina, apro la mail e trovo le tue poesie, per me…

 
l’anima
l’anima non rimane prigioniera, non si fa rapire;
se non vogliamo
essere vivi
forse la lasciamo assopita
per non pensare, non ora
ma lei dorme con un occhio aperto
è più grande di noi
ci rifiutiamo di ascoltarla
ma lei è come un sottofondo musicale
è implacabile
è dissoluta
non si preoccupa di come stiamo
ci avvolge come un velo di sonorità
espellendo i vuoti di cui abbiamo paura
nel nostro inerme palato;
e noi ,storditi
la rivomitiamo
in braccio al cuore
cerchiamo lì
il suo sollazzo……….no
un chiaro no!
l’anima rimane con noi sempre
e ci tormenta perchè, se abbiamo dato il cuore
lei non vuole essere venduta
vuole farci pagare a caro prezzo il fatto
che rimaniamo con lei sola, sempre, alla fine….
ecco..io a giorni
cerco di trattarla bene
l’accompagno dove lei vuole
poi, di nascosto
giro le parole e guido il carro
così lei, mesta mesta, torna e
mi riprende in mano….