OLTRE. Scivolando sui pensieri.

standard 28 maggio 2013 54 responses

Non credo di averlo mai fatto.
Cosa?
Di pubblicare con quasi due mesi di ritardo dei pensieri di un pomeriggio caldo, nei primissimi giorni di aprile, quando l’illusione della primavera era reale e mi svegliavo con un misto di insoddisfazione e voglia di andare oltre.
Ma non conoscevo questo oltre, lo temevo di certo. Cercavo di annegarlo nella marmellata della colazione, ma lui tornava.
E, alla fine, c’è stato, ed è stato un oltre davvero OLTRE. Mentre sono qui che vi guardo dall’OLTRE, leggo con voi…

Sette Aprile Duemilatredici.
Sulle rive dell’Arno.
Sono come il polline. Fine, giallo, gustoso.
Sono come i raggi caldi di questa primavera, finalmente.
Sono questo aprile.
Sono questo ragnetto. Pochi millimetri di perfezione. Giallo su nero, come fosse polline.
Sono queste spighe verdi, immaturo frutto della natura.
Sono questo foglio di carta, questi pensieri impuri e gravidi, questo monsone di tempeste mai viste.
Sono questa irruenza, questa voglia di scoprire, di cucirmi in faccia un amore mai visto, questi vestiti così aderenti da non riuscire più a toglierli.
Sono queste domande a cui sottopongo la mia anima, senza tregua.
Sono al mediocrità che non conosco. Perchè la scanso ma non la posso lasciare del tutto, mio marginale contatto con la realtà.
Sono questo foglio, che voglio fare a brandelli, piccole parole, piccoli pezzi di carta, verba volant, per alleggerire un mondo costruito solo per la mia personale sopravvivenza.
Sono questo traffico costante, il profilo verde delle colline di Firenze, un tempo disabitate.
Sono questo sterile punto di vista, il cui valore è un significato solo per me.
Sono perfetta come le guglie di quella basilica, come il merlo di quella torre, il bastione di questa fortezza.
Sono troppo in una vita che il troppo non lo può tollerare. E nemmeno controllare.
Sono quelle piccole anatre che procedono sul fiume scuro, incuranti di ciò che avviene attorno. 
Sono la loro scia, il flusso sottostante creato, che lambisce con lentezza la costa, con il suo ritmo parallelo.
Sono quella cosa che dovrà avvenire, spietata e chiara.
Sono quel segreto che ancora non conosco, quell’amara domenica mal vissuta sotto un vento che ricorda l’inverno e un sole che chiama l’estate.
Sono le note di queste ripetute canzoni nelle mie orecchie distanti dal reale.
Sono la mia voglia di scrivere senza mai una fine, come se non conoscessi che righe e inchiostro nero, sbaffato dalla fretta di dire qualcosa.
Sono una mendicante di poesie già scritte, che non so come scrivere. Non conosco il carattere, ancora geroglifico, senza traduzione.
E allora tu fammi egizia, da profilo intatto per secoli, fammi scultura, mummia del passato così che io legga sulla pietra la mia vita già vissuta e stringi le bende. Stringi per non far passare il sangue, freddo afflusso di sistemi nervosi troppo attivi per lasciarmi riposare in pace.
Sono questo sarcofago.
Sono questa maschera di cera.
Sono la combinazione sconosciuta.
Sono un simbolo segreto delle Terre di Mezzo.
Sono una regina. Tu lasciati ammaliare dal canto delle sirene e vattene, lasciami, abbandona questa attesa che non sopporta più le attese sconosciute dell’amore.

Meekyoung Shin – Vasi di Sapone (foto by Berry – Saatchi Gallery, London, agosto 2012)

Perchè questa foto? Perchè era agosto, caldo anche a Londra. I miei pensieri erano più cupi di adesso e questo museo fu una boccata d’aria. Questi vasi sono fatti di sapone, da non credere, vero? Ora i miei cupi pensieri sono scivolati via sulle curve morbide di quelle forme, sono rimasti quelli dai colori accesi. 
Non c’è più nessuna attesa.