SUONARE C15.

standard 5 dicembre 2013 28 responses

Quattro palazzi grigi cemento, scorticati dal tempo e dalle intemperie.

Ventuno anni appena compiuti, freschi ed ingenui come un quadrifoglio bagnato di rugiada.

Una stanza poco accogliente, rustica e vuota, senza personalità, senza ricordi alle pareti, una vita da scrivere e attaccare.

Due piedi sulla soglia della porta blu. 
Tanti numeri da controllare, tutto sembra uniforme, statico.
Pantaloni mai abbastanza rattoppati, spirito libero, colori e frenesie mai frenate.
Quello che mi aspettava tra quelle pareti non potevo saperlo, quel 27 gennaio 2003, fatto di lacrime e separazioni, di trasloco in autobus, di zaini in spalla pesanti e accessori inutili che facevano diventare ancora più pesante lo spostamento.
Ed era così definitivo che non potevo saperlo.
La mia vita a Firenze, da quel momento, ha preso un’altra strada. La ripidità iniziale è stata ripagata, perchè sento ogni giorno la forza acquisita sulle mie spalle, ogni giorno che leggo negli occhi del mio migliore amico quanto sono stata fortunata ad incontrarlo lì, tra più di 400 facce sconosciute, nemiche e in conflitto.
Una decisione presa senza avere altre scelte se non quella di tornare dai miei, mollare l’università e la mia nuova vita. Una decisione sofferta.
Perché dietro quella porta era tutto sconosciuto, tanti tasselli erano ancora da comporre e costruire, trovando loro un senso compiuto, sperando di trovarlo, senza alcuna certezza se non l’acqua fredda sulla faccia la mattina.
Quattro palazzi che erano un villaggio, un campus, un paese, il mio mondo.
Lo sono stati per sei anni, durante i quali ho traslocato da torre a torre, da stanza a monolocale.
Quattro palazzi che mi hanno vista crescere, trasformare.
Giovane, inesperta, sempre contro.
Donna, compiuta, presente.
Un passo dietro l’altro, vincendo vergogna e sguardi a volte troppo taglienti, amicizie e legami così forti che vincono il tempo e le diverse esperienze, ricordi buffi, solitari.
Dio quante risate tra quelle pareti. Sento ancora lo scintillio chiaro delle nostre anime, così libere.
Libere da tutto.
Dalle imposizioni della crescita, dal realismo crudo di una laurea desiderata ma poi quasi inutile, anime libere dai sotterfugi e dalla malignità.
Quattro palazzi grigi cemento, che ho imparato ad amare tantissimo.
La C15 era la mia prima stanza. Torre C, secondo piano, stanza 15, sulla sinistra dopo le scale.
Li sogno spesso, quei giorni. Non perchè adesso viva una vita peggiore, ma probabilmente perchè è LI’, proprio LI’ che mi sono formata, che i piccoli pezzi di plastilina si sono lasciati modellare per creare questa gran pezzo di gnocca donna che vedo adesso.
Ed è stato LI’ proprio LI’ che ho conosciuto i due veri protagonisti di questa mostra.

Maurizio e Mesquita.
Sardegna e Angola.
Biondo, occhi azzurri, fotografo. Nero che più nero non si può, TUTTOLOGO (anche perchè se dovessi seriamente dire la sua professione non saprei da dove cominciare!).

Insomma. Questi due qui, insieme, hanno dato vita ad una mostra, appunto. Un’unione di culture, di amicizia, di larghe intese, di unioni, di condivisione, sorrisi, rispetto, attenzioni, coinvolgimenti, dettagli materiali e immateriali.
Se passate da Firenze, la Feltrinelli International la ospita dal 5 dicembre al 7 gennaio 2014.
Non vedo l’ora di essere lì, stasera, a vedere gli occhi del mio amico brillare di gioia ed emozione per un traguardo, non il primo, della sua carriera, ma soprattutto PER la sua persona così unica, che occupa un posto indissolubile nel mio cuore.
(link ad un articolo de La Repubblica – galleria fotografica con le foto della mostra!)
 Firenze, Feltrinelli International, dal 5 dicembre al 7 gennaio 2014.
Berry e Mesquita – Fotografia di Maurizio Picci.