LE AMBIZIONI (PERDUTE).

standard 3 febbraio 2014 27 responses
Quando le giornate sono pesanti ti auguri solo di tornare a casa.
E che la serata sia lieve.

Vivere a pieno in questo mondo vuol dire che ne senti tante. Che ti accorgi di come si vada avanti per espedienti, conoscenze, debolezze altrui, simpatie. Di come chi ti sta davanti sappia argomentare anche la più assurda delle ipotesi, facendoti quasi credere che sia possibile, ma dentro di te scuoti la testa. Non puoi farlo davvero perché chi ti sta davanti ha il vantaggio di molte cose rispetto a te, ma non di tutte, per fortuna.
Chissà, magari un giorno non sarò più capace di trattenere l’amarezza e l’impazienza di dire ciò che penso sarà più forte di tutto, non dovrò più trattenere il respiro, non dovrò provare la brutta sensazione di sentirmi fortunata a tutti i costi solo perchè ho un lavoro.
Le giornate, le settimane, scorrono così, per la maggior parte. In attesa. Che arrivi il fine settimana, che il telefono squilli poco, che le dita siano ispirate a scorrere così sulla tastiera, che i baci siano sempre come li vuoi e che ogni sguardo ti accarezzi come fosse una nota dolce della musica che ami ascoltare.
In attesa che tutto quello che hai studiato svanisca, o che serva a qualcosa, a qualcuno, almeno a me. 
In attesa di essere capace di ricordare ciò per cui mi sono impegnata e battuta, ciò che ho amato fare e ora metto quotidianamente da parte per produrre ciò che serve a pagare l’affitto, le bollette, qualche vizio speso in un negozietto della mia via.
Questi sono i giorni dell’amarezza. Della prospettiva che non ti corrisponde ma che da qualche parte cela questo lato di te, così negativo e VERO da farti paura.

Sylvia Plachy – Pink Veil (1979)
Poi la prospettiva si muta.
Il  pensiero sorvola.
Come un piccolo e frivolo uccellino sorpasso questi vortici.
Ogni nebbia si disfa nell’aria fresca e dolce del mattino, del cielo terso, di queste folli altitudini nelle quali riesco a volare, senza fiato, senza tempo, senza fretta, senza conoscere destinazioni.
Ad occhi chiusi non vedo altro che le mie palpebre come specchi.
Vedo me, capelli lisci e strani colori.
Le poesie che creo nella mia mente si posano e non lasciano spazio ad altre parole.
Sono loro, quelle giuste, le vedo.
Ma stasera non so scriverle, le vedo e basta.
Anche loro in attesa.
Anche loro alla fermata del loro turno. 
Quello che passerà e le lascerà qui, di nuovo, oppure le renderà vuote e senza alcun senso, soffiandole via di nuovo, inafferrabili, lontano.