sfioro le cose e queste, come fosse un afflato velenoso e forte, svaniscono.
sfioro un sorriso, forse lo rincorro troppo ed esso, impietoso, svanisce.
probabilmente tutte le cose che critico, le persone che si allontanano, che mi rifiutano, non sono tanto peggio di me, di quello che credo di essere io. la loro mediocrità mi riflette pienamente, il rispetto che ho per me stessa equivale a ciò che leggo nei loro occhi: al niente. al vuoto, all’indifferenza.
quello che valgo pare che scompaia ogni giorno, ogni qual volta che qualcuno si prende la briga di rifiutarmi, di fare a meno di me. io decido di fare a meno di me.
decido che vorrei andare via, diventare diversa, di pietra. arrivare in un eremo, dove nessuno mi può raggiungere e scalfire la mia anima, il mio sorriso lungamente desiderato.
tutto quello che continuo a fare invece è strisciare.
strisciare nell’ombra dove comunque sempre qualcuno può vedermi e ridurmi in poltiglia.
cerco di fare di più, anche stavolta.
ma statemi lontano, sono nociva.

le prove del nove.
miei cari lettori, buongiorno.
Siete pochi ma affido sempre i miei pensieri a voi, a chi vi capita raramente, a chi è un avido lettore, a chi piace leggere le mie avventure (soprattutto virtuali).
Ho quasi finito di fare la valigia, vado a Roma per qualche giorno, impegni “atletici”. Vado a Roma povera di stimoli, con la voglia di ricaricarmi un pò queste pile alcaline vecchie e ossidate, credendo che la lontananza dalla solita routine possa in qualche modo smuovere quei meccanismi arrugginiti che fanno scricchiolare la mia vita, i miei mesi, da due anni a questa parte.
Non so cosa spero, non so nemmeno se spero. Se lo scrivo ancora, dopo tutto questo tempo, forse si. D’altra parte la speranza è ciò che ci fa alzare ogni mattina e vivere senza pensare che non ne valga la pena. La cosa che non so è PER COSA spero. Egocentristicamente parlando, spero per me stessa. Per il mio futuro, per la mia salute, per il mio lavoro. E poi, come in un banaliiiiiiiiiiiissimo circuito di go-kart, con le macchinine che girano costantemente, spero nell’arrivo dell’amore. Di quel tuffo al cuore, di quel momento di torpore delle mani-ossa-muscoli-salivazione che non ti fa capire più un cavolo e che così tanto mi manca.
Vorrei che questa maledetta “prova del nove” stavolta non tornasse, desse un risultato diverso. Voglio che la mia vita sia sempre più dispari, voglio che il sussurro del minuto che arriva mi sorprenda, lasciandomi senza parole. Voglio non scrivere più di cose che mi mancano, così come mi manca l’amore.
Amo le mie piantine grasse, vedere che crescono e come crescono.
Amo le mie sorelle, guardarle negli occhi e sentirmi a posto.
Amo i miei gatti e il loro modo di farmi sentire importante.
Amo i miei amici. E su questo non c’è da argomentare perchè loro sono ciò che di più splendido si possa avere.
Amo chi non ho e, probabilmente, non si può amare in una maniera più pura di così. Senza pretendere, senza confessare, senza ostentare. Pensando che non si ama e che, per il momento, la prova del nove possa essere una verifica sufficiente. E matematicamente non adatta a misurare il mio amore.
Siete pochi ma affido sempre i miei pensieri a voi, a chi vi capita raramente, a chi è un avido lettore, a chi piace leggere le mie avventure (soprattutto virtuali).
Ho quasi finito di fare la valigia, vado a Roma per qualche giorno, impegni “atletici”. Vado a Roma povera di stimoli, con la voglia di ricaricarmi un pò queste pile alcaline vecchie e ossidate, credendo che la lontananza dalla solita routine possa in qualche modo smuovere quei meccanismi arrugginiti che fanno scricchiolare la mia vita, i miei mesi, da due anni a questa parte.
Non so cosa spero, non so nemmeno se spero. Se lo scrivo ancora, dopo tutto questo tempo, forse si. D’altra parte la speranza è ciò che ci fa alzare ogni mattina e vivere senza pensare che non ne valga la pena. La cosa che non so è PER COSA spero. Egocentristicamente parlando, spero per me stessa. Per il mio futuro, per la mia salute, per il mio lavoro. E poi, come in un banaliiiiiiiiiiiissimo circuito di go-kart, con le macchinine che girano costantemente, spero nell’arrivo dell’amore. Di quel tuffo al cuore, di quel momento di torpore delle mani-ossa-muscoli-salivazione che non ti fa capire più un cavolo e che così tanto mi manca.
Vorrei che questa maledetta “prova del nove” stavolta non tornasse, desse un risultato diverso. Voglio che la mia vita sia sempre più dispari, voglio che il sussurro del minuto che arriva mi sorprenda, lasciandomi senza parole. Voglio non scrivere più di cose che mi mancano, così come mi manca l’amore.
Amo le mie piantine grasse, vedere che crescono e come crescono.
Amo le mie sorelle, guardarle negli occhi e sentirmi a posto.
Amo i miei gatti e il loro modo di farmi sentire importante.
Amo i miei amici. E su questo non c’è da argomentare perchè loro sono ciò che di più splendido si possa avere.
Amo chi non ho e, probabilmente, non si può amare in una maniera più pura di così. Senza pretendere, senza confessare, senza ostentare. Pensando che non si ama e che, per il momento, la prova del nove possa essere una verifica sufficiente. E matematicamente non adatta a misurare il mio amore.

la mia mente non ha mai concepito la cattiveria, la pochezza d’animo, le ingiustizie.
non voglio scrivere l’apologia dei miei genitori, non voglio tessere le loro lodi come se fossero degli esseri perfetti e non è nemmeno una gara a chi soffre di più o a chi ha avuto più difficoltà.
voglio solo scrivere una storia, una storia di cattiverie e malignità che va avanti da una vita, della quale non vorrei più sentir parlare, per la quale non vorrei più dispiacermi o vedere cadere una lacrima dagli occhi di chi amo.
questa storia comincia quando io non c’ero ancora, nei soprusi e nei meccanismi intrigati, di psicologie e invidia che ti acceca, nella gelosia di chi pensa che plasmare la mente di una persona senza farle vivere la propria vita, sia una cosa buona e giusta.
vivere con altre 3 sorelle non è certo una cosa facile ed io lo so bene. quando hai un carattere mansueto, dolce, adattabile a tutto e a tutti, gentile, sei facilmente preda di persone più grandi e dispotiche. purtroppo non riesco ad essere cattiva per capire come si possa odiare così tanto o dire certe cose di chi fa parte del tuo cuore, di chi è cresciuto con te e ha condiviso tutto, dal graffio sul ginocchio dopo che si è caduti dalla bicicletta, alle cicatrici del cuore, dallo sguardo sul paesaggio lontano alle carezze della mamma.
scrivo di questo con la certezza che ciò non accadrà mai tra di noi. perchè ho imparato cosa significa questa sofferenza “grazie” a persone così, che hanno provato a trascinare altre nel loro delirio di onnipotenza. di separare chi si ama, di creare dolore senza trarne nessun altro vantaggio che il veder soffrire gli altri.
impariamo ad amare, perchè non è mai abbastanza.
io mi impegno ad amare anche chi vorrebbe decidere per me un futuro diverso da quello che, per fortuna, ho.