THERE’S A STAR MAN…

standard 7 novembre 2014 15 responses
Oggi vorrei entrare nel mio giardino segreto e chiudere la porta.
Sotto la pioggia chissà come si starebbe.
Vedrei il movimento delle foglie picchiettate continuamente, sentirei la terra bagnata che rinasce, poserei lo sguardo sulle alette di un passerotto che, nonostante l’acqua, non si bagnano.
Metterei le mani sotto le gocce costanti, per riempirle e svuotarle di nuovo. 

Oggi vorrei ascoltare a ripetizione questa canzone.

Cantare, come faccio spesso, quando vado a lavoro in bicicletta.
Le persone mi osservano, soprattutto se è mattina, incredule davanti ad un sorriso gratuito.
Stamani ho cantato, chiusa in macchina. Ho parlato un po’ da sola, un po’ con Mirtillo, un po’ con i gatti, ho lanciato qualche biscotto di troppo nel latte (di soia), ho baciato il mio amore e la sua bocca bellissima, ho chiuso per la millesima volta la valigia, sperando di non aver dimenticato niente. 
E’ una valigia importante, non come tutte quelle fatte per tornare a casa in questi 13 anni di esilio
E’ diversamente importante.
Dentro ci ho chiuso tutte le mie parole. Quelle che condivido con voi da più di quattro anni e quelle che lascio in giro per quaderni, fogli strappati, lettere mandate e solo pensate, biglietti sul tavolo, antipatici ultimatum, #hashtag inutili e liste infinite, appuntamenti, regali, libri letti o desiderati, frasi famose, tatuaggi da fare, documenti.
Ci ho chiuso miriadi di penne consumate, di inchiostro, di macchie, di carta riciclata, di momenti racchiusi solo negli occhi e mai trascritti, tutte le mie verità e i miei desideri.
E’ pesante, ecco, sta valigia.
Dentro ci sono anche tante amiche, tanti altri sogni, tante mani, percorsi, sorrisi.
E’ pesante ma la porto volentieri.
Anche perché le cose pesanti non mi hanno mai fatto paura. Soprattutto quando non si ha niente da perdere perché si è sicuri (almeno) di una cosa. 

Non ci avete capito niente?
E’ normale.
Io, Mirtillo e papone partiamo, in compagnia di altre sei #bloggalline, verso nuovi mondi.


There’s a starman waiting in the sky…


Chissà che non aspetti proprio NOI.

Il Piccolo Principe – immagine presa dal web –

Intanto, continuo a cantare.
La la la la laaaaaaaaa…

UNA VALIGIA DI PAROLE.

standard 7 aprile 2014 46 responses
Quando ci sono troppe cose da raccontare, l’unica cosa da fare è trovare il filo del gomitolo e cominciare da lì. Dalla fine, quando si è arrotolato tutto, tipo quando mangi gli spaghetti e la forchetta con affanno ha percorso tutto il piatto per lasciarlo sgombero.
E’ stato intenso, indubbiamente. Pieno, ricco, fitto, zeppo, soffocante quasi.
E’ stato colorato, diverso, insolito, emozionante, mitico.
E’ stato come entrare in una leggenda epica, esserne risucchiati e poi uscirne, senza nemmeno troppi effetti collaterali, a parte il fuso orario.
Amo viaggiare, respirare mondi opposti e imparagonabili tra loro.
Amo viaggiare ma non sopporto stare così lontana, kilometricamente parlando, da casa mia, soprattutto se con la parola viaggio si associa la parola lavoro.
Dieci giorni che a raccontarli mi ci vorrebbe un mese, per tutto quello che ho visto, provato, assaggiato, passeggiato, incrociato, scrutato, sudato, fotografato.

Ho visto Johnny Depp che abbracciava Wonder Woman, impronte famose e set cinematografici, Beverly Hills e Mulholland Drive, ho visto ville lussuose e grattaceli dalla forma strana, architetture da enciclopedia e musei (correndo) nei quali avrei potuto passare una vita.
Ho visto panorami mozzafiato, dall’Oceano Pacifico alle colline verdi di Hollywood, senza alcuna interferenza, se non il vento forte che confondeva idee e capelli. Mi ci sono bagnata i piedi, nell’Oceano, la mattina presto. L’acqua era fredda e arrabbiata.
Ho visto le Montagne Rocciose, la neve da Zurigo a Denver, ho viaggiato e perso aerei, coincidenze, momenti, ricordi. Ho respirato la marijuana libera del Colorado e il fumo che esce dai tombini, mangiato panini e french fries, assorbito e osservato tutto, visibile e invisibile. 
Ho fatto la pipì nell’hotel di Pretty Woman, toccato le nuvole morbide della California e i suoi pungenti cactus, mi sono seduta accanto a Forrest Gump e messo un piede one mile above the sea level (a proposito…sapete cosa vuol dire stare una settimana a 1600 mt di altezza? Pelle secca, aria rarefatta, mal di testa, sangue dal naso tutti i santi giorni…quando dico che preferisco il mare!).
Ho camminato tanto, consumando scarpe e distanze, che di certo non sono brevi. Ho riempito e disfatto valigie, perso la testa e parecchie lacrime, scordato di comprare regali e fatto acquisti inutili ma essenziali. Ho visto artisti di strada, barboni che suonano il pianoforte, poetesse improvvisate parlare solitarie sotto una palma scossa dal vento, parecchi palloncini e parecchie altre cose che avrei voluto vivere per mano al mio amore.

Gli Stati Uniti non sono un posto facile, per chi come me ama la storia, le radici. Sono uno stato così nuovo e che si rinnova con una tale facilità da rendere tutto ciò cui siamo abituati quasi ridicolo. Lì la storia è fatta dalla Coca Cola, dai boulevard alberati visti in qualche film, dall’integrazione razziale evidente, dal sentimento comune di tolleranza.
Non si può far altro che aprire la mente, una volta arrivati. Ci sono troppe cose da immagazzinare, ma l’inesperienza della gioventù del paese diventa il suo primo pregio: niente è storia, niente è da ricordare per sempre, tutto si può modificare, organizzare, armonizzare. Tutto diventa plasmabile, niente è statico.
Non ci sono radici, non ci sono legami.
Questa medaglia ha anche il lato opposto, quello dei lunghi risvolti negativi, delle obiezioni che si possono fare ad ogni virgola. Io stessa ne ho a bizzeffe di critiche, sugli States…ma non oggi.
Perché ora ho solo voglia di sorridere, perché sono tornata.
Sono sopravvissuta a infinite ore di volo, scomodissime ed infinite. 
Perché questa esperienza mi ha fatto bene, per quanto sia stata impegnativa e, indubbiamente, non ho il fisico per tutto questo impegno
Perché guardare un altro mondo e poi tornare a guardare il proprio regala delle sfumature che prima non c’erano, si nascondevano nella quotidianità, nell’abitudine, nell’ovvio.

E’ bello viaggiare.
E’ bello tornare.
Perché è bello sapere che ci sono, che ci siete. Come quando cammini al buio e dopo qualche passo sai che c’è il letto.
Le ginocchia si appoggiano sul materasso e non c’è pericolo di cadere.
Los Angeles & Denver – 10 giorni in 16 foto

Ti voglio bene Denver!

standard 26 marzo 2014 17 responses

Impossibile sfatare certi miti. Se diventano tali ci sarà un motivo.
In America i neri sono grossi, grandi alti, con dei sorrisi proporzionalmente enormi.
Ci sono tanti fast food che ci pienano occhi e stomaco molto fast.
Le macchine sono infinitamente e inutilmente grandi.
In America tutti hanno caldo. Infradito e short a 1600mt, con pochi gradi sopra lo zero, come se piovessero.
E non solo. Si vestono al buio.
Sembra di essere in un film. Come dire il contrario? Grattacieli ultra moderni e piccole case in legno, contrapposizioni che raccontano un paese molto diverso dal nostro.
È tutto strano e tutto possibile.
Barboni al McDonald’s,  fumo dai tombini, artisti di strada che improvvisano concerti.

Di certo, in America, non ti senti diverso. Forse è il retaggio lasciato dai molti anni di apartheid, di schiavismo…ma sembra che nessuno sia interessato a giudicarti per la tua apparenza…mi sono spiegata, no? Anche se in Italia sono le 6 di mattina e qui le 23 la stanchezza si fa sentire e sopratutto l’uso del tablet!!!!

E se ogni viaggio serve a qualcosa, alla fine di questi giorni di intenso lavoro dall’altra parte del mondo, vi faro sapere cosa ha portato a me.

Un bacio a tutti da Denver, Colorado,  e uno speciale al mio Amore.

ASPETTAMI, TORNO SUBITO.

standard 19 marzo 2014 19 responses
Adoro il mercoledì.
Soprattutto la sera, è la sera in cui si corre. Torno a casa sfinita ma appagata, mi aggiro sola nelle stanze cercando di capire se la voglia di cenare è più forte della voglia di non fare niente.
Oggi è un mercoledì da pagina bianca, da voglia di scrivere, da affollamento di idee e parole, che mi costringe a sedermi con il portatile in mano, iniziando da qui senza conoscere la fine…e il percorso.
Sono giorni concitati, come succede sempre prima di ogni viaggio…dopo due anni torno negli Stati Uniti, con tutt’altro sentimenti rispetto alla volta scorsa. Oltre alla solita paura di volare, parto lasciando il mio cuore qui e così questi dieci giorni mi sembrano un’eternità…ma in qualche modo passeranno, devo solo smetterla di concentrarmi sul tempo.
E corro quindi, corro via dalle mie ansie, dai brutti pensieri, verso il tramonto di questa giornata, sfumato di rosa. Cerco la calma mentre piego e preparo calzini e magliette, cerco il tepore dello sguardo di chi amo, le parole rare ma intense di chi ho vicino. Non sono queste le cose tragiche, Berry. 

…Sono rimasta senza parole. Ha vinto la sonnolenza.

Adesso fuggo a mangiare un pezzettino di cioccolata fondente con le nocciole.
Voi aspettatemi qui, che magari ci scappa qualche post scanzonato a Stelle e Strisce.
Un piccolo assaggio pre partenza ^_^
Ps: amiche Bloggalline…siete straordinarie! Roberta, Roberta, Vatinee, Monica, Monica, Valentina e Silvia (e la mia Mary) su tutte, mi siete mancate tantissimo!!!

Yin e Yang.

standard 5 settembre 2013 35 responses
In questi giorni non so mai da dove cominciare. 
Sarà che è Settembre, il mese degli inizi, e io come al solito vado contro corrente.
Ho voglia di scrivere di come lavo i piatti.
Di come mi sono sporcata le mani di blu inchiostro.
Di quanto è bello il minuscolo gattino rosso che ho da due giorni per casa.
Di come vorrei fare una passeggiata tra i campi, tra le mani un grappolo d’uva dolce.
Del vento fresco delle cinque di mattina.
Del peso del lenzuolo sulle mie gambe scoperte.
Di quell’ombra che mi segue, che io seguo, ogni giorno.
Voglio dettagliare tutte le cose che ho visto in viaggio.
Il vento forte di Tarifa che arrivava dal Mediterraneo, lanciando sulle nostre gambe la piccola sabbia dorata.
La condensa sulla caña di birra, il sapore dei montaditos e delle olive.
Le polemiche e i manifestanti alla dogana, in uscita da Gibilterra, le sue scimmie antipatiche, la discesa sotto il sole cocente.
Le curve infinite per arrivare a Ronda e la sosta al distributore disperso nella Sierra de las Nieves, dopo aver salutato il mare e abbracciato la M4ry a Malaga.
La profondità di campo, di vita, di appartenenza osservando l’Alhambra al tramonto.
Tutte le gocce di sudore per ogni passo a Siviglia, che fossero le cinque di mattina o mezzogiorno.
I castelli, le fortezze, i giardini, le salite, i nomi delle calle.
Le volte in cui abbiamo sbagliato strada, girando in tondo alle rotonde o perchè appena avanti, girare a sinistra e magari a sinistra non c’era nessuna strada. 
Le sfilate assurde di modelli assurdi (e nudi) a Ibiza, il viaggio in aereo dove ci sentivamo degli attempati vacanzieri in un mondo di teenager, costantemente richiamati dalle hostess.
La città di cui mi sono innamorata, Cordoba, non so nemmeno spiegare il perchè, forse anche per il sapore del fico che mi sono comprata al mercato della frutta.
E’ settembre quindi, l’inizio e la fine. E’ un cerchio, con due semicerchi di colore diverso, se ne distinguono i tratti. E’ qui che si spengono i colori e si radicano i progetti, anche se a lungo termine. 
Yin e Yang.

E ciò che mi lascia sospesa è questa perenne alternanza, ma è anche ciò che mi lascia in vita. L’alternarsi delle stagioni, delle emozioni, delle notti che passano diventando sole. 
L’evoluzione di ogni cosa, l’attesa e la corrispondenza, la speranza, la costanza.
Faccio entrare la notte, in questo settembre celeste chiaro. 
Nel buio, a tentoni, per fare ordine. 
Tutto torna.

La lunette d’approche – R. Magritte (1963)

Le mille e una vacanza…

standard 27 agosto 2013 84 responses
“Ciao. 
Mi chiamo Berenice e non vado in vacanza da una settimana.
Cerco di resistere, ma le tentazioni di ripartire sono tante.”

Se esistesse un centro di riabilitazione ci andrei, credo sarebbe affollato. 
Il problema sorge quando ti accorgi che una vacanza è veramente finita.
Io di solito me ne accorgo quando mi tolgo lo smalto, messo con tanta cura prima di partire.
Se deve durare un paio di settimane già il primo giorno si sbecca, garantito.
E allora sei lì che ti cancelli un piccolo pezzettino di ricordi dalle unghie e i piedi ti raccontano di tutti gli asfalti calpestati. 
Pavimenti e piastrelle decorati, maioliche roventi delle due del pomeriggio, sconosciuti marciapiedi, panchine che accolgono lamenti e fanno recuperare sorrisi.
E’ che non basta una vita per raccontare ciò che vediamo. Non bastano le pagine, l’inchiostro, il sapere, la conoscenza. Non bastano gli occhi per rammentare e registrare i passaggi, le andate, i ritorni.
Non basta saper descrivere.
Non basta fare una foto così come vedono gli occhi, come se fosse una prospettiva animata.
Non basta ricordare le sensazioni così forti come le ho vissute, i battiti, il modo in cui mi sfioravi le mani, le carezze del vento sulle guance arse dal sole d’agosto.
Dunque, non rimane altro che saper accogliere il dono di quello che si ha, di quello che si decide di essere, di fare, di vivere. Quello che ho è meraviglioso. Lo colgo e lo custodisco.
Sei tu quello che io desidero.
E’ questa la vita che ho scelto.
Sei quella unica prospettiva che voglio registrare, la vita che mi voglio godere.
Sei quel sorriso che mi merito ogni primo raggio di sole.
Respiro. E’ così caldo che quel sole che entra dalle narici e brucia tutto ciò che trova.
Ma il caldo non offusca l’essenza delle cose, la bellezza delle fiabe d’oriente, i protagonisti e quegli sguardi che nemmeno la migliore fotografia riesce a catturare. Il caldo mi confonde ma scioglie anche questa smania di ricordare e le ansie che mi accompagnano da sempre quando faccio e vivo qualcosa di bello. 
Con il caldo, come in tutte le situazioni estreme, rimane l’essenziale.
L’amore. Il mare. Le intese. L’oceano.
Una valigia a testa, una macchina e più di milletrecento chilometri indimenticabili.
Driiiiiiiiiin…la sveglia è suonata di nuovo…
FOTO FURBA nr1 – GIARDINO DEL GENERALIFE – ALHAMBRA – GRANADA
FOTO FURBA nr2 – ALHAMBRA – GRANADA
DAY & NIGHT – ALCAZAR – CORDOVA
FOTO FURBA nr3 – INGLESI PER UN GIORNO – GIBILTERRA
CONFINI (VENTOSI) – ISLA DE LAS PALOMAS – TARIFA

FOTO FURBA nr4 – OCEANICHE PROSPETTIVE – TARIFA

FOTO FURBE nr5 – SIAMO ARRIVATI…ALLA FRUTTA! – REAL ALCAZAR – SIVIGLIA
10KG IN 12GG – Ibiza, Denia, Alicante, Murcia, Granada, Cordoba, Malaga, Ronda, Gaucin, Casares, Gibilterra, Huerta Grande, Tarifa, El Puerto de Santa Maria, Cadice, Siviglia – LA ZINGARATA ANDALUSA!

Andalusia.

standard 9 luglio 2013 72 responses
Non ci sono foto da guardare, ma sfoglio le pagine lo stesso, in questa calda mattina di luglio. La guida sdrucita della mia vacanza. L’odore è quello della biblioteca, di mani, di persone, di passaggi.

“L’Andalusia è una terra sfuggente,
dove non si arriva mai veramente,
che va riconquistata ogni giorno.”

L’eco di queste parole si diverte a rimanere nella mia testa, come se ci fosse una cassa di risonanza grande, profonda e dalle pareti elastiche. Il suono ritorna vivo, io ne prendo le sembianze, metto ogni dito nel guanto e lo faccio calzare bene. 
Mi sento terra, aria calda, arsa dal vento e dal sole. Mi sento desertica e sola, contrastata e immobile. Mi sento ballerina, straniera, avventuriera.
Il peso dello zaino sulle spalle.
Mi sento sfuggente, come la terra che mi aspetta questo agosto.
Sono sfuggente quanto sono presente, in un equilibrio contrastato che forse nemmeno io conosco che talvolta mi inquieta, mi spenge i ricettori, mi zittisce.
E allora studio questa superficie così malridotta, questo ghiaccio pieno di venature, incrinato dagli errori e dalle ferite, lo livello con la mano. Ogni ramificazione può essere la letale spaccatura che mi fa affondare.
Quando sono Andalusa sono così sfuggente che non mi riconosco.
Passo veloce davanti allo specchio, senza lasciare alcuna traccia.
E una perpetua richiesta.

Conquistami.
Conquistami, ogni giorno.
Come se fossi uno dei Conquistadores.
Come se ci fosse da combattere per me.
Come se io fossi una terra sconosciuta, che esplori attento, sulla quale indaghi, della quale impari a fidarti, per la quale ti disperi o esulti.
Rendimi unica, col tuo sguardo.
Perchè voglio essere la tua erba viva non una steppa arida.
Perchè voglio rinfrescarti con la mia rugiada, donarti il mio tutto, spossarti, soddisfarti, riempirti.
Perchè voglio sconfiggere questo buco nero che ogni tanto mi avvolge.
Con i miei colori, con le tue armi.
Con i miei sorrisi, con il tuo amore.

Minas de Mazarron (Murcia) – Foto presa QUI
(lo so, lo so che non è in Andalusia, ma nel nostro itinerario “folle” dovrebbe essere di passaggio!)

Viaggi (in)aspettati…

standard 28 dicembre 2012 28 responses
Ho affogato il mio sgomento di questo Natale addormentato in un infinito mondo di pop corn.
L’altra sera al cinema.
Ci ho affondato la mano. Ho assaporato il sapore salato dei frammenti in fondo al contenitore colorato, si attaccavano alle dita umide di saliva.
Il film si snodava tra le foreste della terra di mezzo, Bilbo, Gandalf e i nani calcavano i terreni scricchiolanti di storie, lasciandosi alle spalle sangue, spade, frecce e sguardi d’intesa.
Un viaggio inaspettato.
Le lande sconfinate della Nuova Zelanda, le infinite montagne, il colore verde che quasi acceca gli occhi.
Un mondo inventato nei sogni più strani torna a vivere sotto i miei occhi.
Quei draghi che rispondono al terrore della perdita sono la forma delle mie paure. Le squame, il movimento rapido ma pesante, pungente e imprevisto.
Le paure di non riuscire a mettere tutto dentro un fagotto e partire.
Non ho uno zaino abbastanza capiente per portare con me le esperienze, la vita e i sorrisi che vorrei, i rimproveri e gli insegnamenti, le litigate furiose, le lacrime versate. 
Guardo le mie sorelle come fossero il film più bello che potrebbero scrivere sulla mia vita, vivo e godo ogni momento con loro perchè conosco i cambiamenti istantanei delle cose, come battiti di ciglia ben strutturati.
La più grande, così silenziosa e riservata, con quegli angoli acuti che sembrano dei cancelli invalicabili, dai quali puoi sperare di passare solo se lei decide di lasciare una piccola fessura, come un fiato di vento primaverile, come un petalo che ti carezza, nonostante non voglia far trapelare ciò che vive.
Le mie piccole bambine. I miei fiori. La “numero tre” e i suoi lunghi capelli, portatori delle sue mille facce, il sorriso e il pianto, quel dolore che non vorrei mai vederle provare, i diavoletti tentatori che le fanno cambiare modo di vivere quando lei, in fondo, è una candida margheritina di campo, come quelle che spuntano timide adesso, in questo dicembre così caldo. E la stella del mio cielo, dura, intoccabile. Ma quella fragilità e amore che leggo nel suo sorriso quando la accompagno a letto, mezza addormentata, o quegli abbracci e i baci di quando mi rivede dopo qualche settimana mi ripagano di tutta la sua poca docilità.
Voi credete che sia solo bello, dunque. Una famiglia numerosa è come una ricetta inventata, ingredienti improvvisati e un forno che non funziona. E’ un gran casino insomma. Gatti che miagolano, cane che abbaia, molte più probabilità di insuccesso, di delusioni, di sofferenze. Elasticità da far invidia all’argilla.
Se speri di tornare a casa e ricevere un abbraccio magari non è il tuo turno, arriva quando non lo vuoi. Tutti che fanno domande e non sono mai quelle giuste, quelle che vorresti sentire. Quando cambi lavoro, quando torni, quando riparti, quando trovi il fidanzato “giusto”, dai dai (pacca) vedrai che lo trovi anche te. Mix di parole da far venire un infarto insomma. 
Però. Il gioco vale la candela anzi. Il candelabro. 
Ogni parola fuori posto, ogni osservazione da nevrosi, ogni commentino stizzito che mi fa salire il sangue al cervello. Ognuno di questi momenti io li vivo e ringrazio i miei antipatici genitori di avermi dato tutto questo. 
Tutti i balletti stupidi, i versi ripetitivi, le paroline inventate, i soprannomi, gli sguardi.
Io che non amo il Natale, la bambina cattiva, impertinente e bizzosa, con le codine che non stanno mai al loro posto, altro che Grinch. Io sono proprio spietata con il Natale. 
Ma con le mie sorelle tutto diventa meraviglioso. 
Mangiare una montagna di pop corn guardando Lo Hobbit diventa un momento da ricordare. 
E la voglia di partire con loro, lasciare tutto, chiudere a chiave il male che a volte i nostri cuori pallidi e sensibili ci fanno sentire, mettere in valigia i nostri stracci, questo è quello che vorrei come regalo.

Casa è ormai dietro di te, il mondo è davanti

E io guardo avanti. Con i miei occhi, con tutte le speranze e le forze, con la voglia di brillare di nuovo, di osservare la mia volontà lottare contro l’indolenza e vincere, senza dubbio, vincere.
Se in tutto questo non ci sarà l’amore, quello – di cui sopra, pacche sulle spalle etc… – lì di amore, beh, state pur certi che non mi farò mancare di vivere.

il viaggio delle anime.

standard 27 settembre 2012 1 response

il lungo viaggio delle anime
che si accampano in un tiepido luogo di luce e polvere
in contrasto con le loro ombre
una battaglia di ferite senza sosta
con i piedi scalzi
senza protezione
con i sogni che scivolano via come lacrime
con le lacrime che sembrano lame
gli occhi pieni di frammenti di vetro
ogni battito un dolore

si infrange il vuoto.

marmo bianco carezzano le mie mani.
il marmo della pelle che vorrei
soave
venature grigie, impuro candore
svelati mistero, alla soglia del mio viso contraffatto.
svelati senza pudore
l’attesa cela vana speranza 

stoffe arcaiche, intrecci di corda
collage di sorrisi e incontri
il viaggio delle anime approda 
l’orizzonte è limpido
il temporale non continua che nel ricordo, nel colore.