LA LINEA BIANCA#4

standard 28 novembre 2013 16 responses

Con una mano appoggiata sul tuo petto e l’altra sotto il mio fianco, ascolto il tuo respiro.

Per quanto possa essere cosa banale, ogni volta mi stupisco di come sia perfetta la forma delle mie dita proprio lì, in quella posizione. Mi immagino di disegnarla con un gessetto, lasciando il mio segno su di te, facendo in modo che sia indelebile al tempo e ai giorni, che a volte scorrono via senza lasciarti il tempo di sbattere le ciglia.
A volte camminiamo e non lasciamo tracce. E il nostro seguito pesante si dissolve. La dispensa piena di barattoli, ordinati, colorati, ognuno con il loro fiocchetto di raso, con le punte un po’ sfilate, conserva sottovuoto i sorrisi e le anime che vestiamo ogni giorno.
Stamani ho aperto il barattolo giallo. C’era anche un gessetto, per disegnare la mia mano sul tuo petto, l’ho lasciato sul comodino.
Voglio ritrovare il suo tratto stasera, quando i miei capelli ti faranno il solletico e il segno polveroso colorerà la tua pelle.
Intanto vestita di giallo, con un fiore tra le mani io varco la soglia di casa, lasciando che la mia scia mi segua, senza dissolversi davvero, perché voglio ritrovare la strada percorsa.

Oggi è un giorno giallo.
Il cielo è giallo.
L’aria non è trasparente ma colorata di giallo

Io respiro sabbia del deserto 
mentre piove camomilla 
dalle nuvole che filtrano il colore del sole.

Tutto è giallo.

Ma io esco lo stesso, in questo strano giorno, perché mi piace vedere ciò che accadrà, minuto dopo minuto, anche se non avrò il tempo di vedere cadere i petali della gerbera che stringo tra le mani.
Me la porto al naso, ogni passo, per coglierne le sfumature, cambiano come cambia la mia prospettiva di osservazione del mondo: anche se avanzo di poco, anche se le mie gambe sono corte, trovo sempre cose nuove da osservare, in questo giorno colorato.
Volano piccoli pollini gialli.

Non è solo pioggia, sono pois di primavera che cadono.

Banksy ?
***
Ci sono delle parole che vorrei dipingere, ma non ne sono capace. E allora cerco immagini in giro per il web, che descrivano quello che voglio dire, ma non sempre ne sono soddisfatta. Banksy è un artista che sa comunicare in un modo incredibile, ma in questo caso avrei voluto un quadro fatto per me. 
Con l’aria rarefatta, piena di pollini e di un giallo diffuso, senza troppi contrasti. 
Un quadro che parlasse di ciò che ho scritto. Dell’aria colorata ma tenue e delicata, che carezza le gote delle persone che passeggiano e che la attraversano.
Un disegno a matita e carboncino, su carta ruvida.
Stasera colorerò il mio disegno con la musica del mio amore. Suonano in un posto vicino Firenze, sono già lì con gli occhi a ? ? che lo guardo suonare.
Domenica invece sarò a colorare insieme a Camilla. Wor(l)ds diventerà una realtà, sarò tanto felice di farne parte. In 10 puntate del suo progetto è stata capace di creare un insieme sinergico di razionalità e tentazioni che non ho mai visto prima. Coinvolgimento e passione, dettagli e grammatica. 
People have the Power, canta Patti. Che sia nelle nostre Parole, questo potere.
Vi bacio. Sono felice.

LA LINEA NERA.

standard 13 settembre 2013 23 responses
Il colore della tisana legnosa e poco profumata dipinge l’acqua fumante. 
E’ una sera che lascia orme umide dietro di se, sono piccoli pois bagnati sul tavolo di marmo. 
E’ una sera che non posso lasciar scorrere così. Ci sono parole che possono aspettare, altre che ti escono fuori dalle dita, solcando la tastiera e gli spazi liberi del mio cervello. 
Sono una senza dio, non conosco nessuna religione. Non perchè un dio mi renderebbe migliori questi momenti, ma perchè, chi ci crede, trova giustificazioni che io non riesco a darmi.
Quindi cadono petali, lacrime, entusiasmo.
E ti trovi dietro una linea nera che non hai mai deciso di oltrepassare. Le esigenze diventano dimenticati frammenti. Le priorità si fanno da parte e non c’è altro che un gran silenzio. Un buco nero come un vortice inghiotte tutte le parole, risucchia anche i sorrisi.
Rimango io, dietro la linea nera.
Non è una sfida, vince sempre lei. 
Imprevedibile, senza alcuna vergogna o rispetto.
Si insinua, fredda, tra un respiro e un sospiro, ti strozza, sa bene dove colpire.
Non uso preghiere nè armi.
Quello che posso imparare, dopo questa ennesima, brutale, linea nera, è che non possiamo perdere nemmeno un frammento della nostra esistenza. 
Non ci rimane che vivere, con le nostre mani modellare un domani comunque sconosciuto.
Passione, Amore, Desideri. 
Le domande senza risposta lasciano il loro eco infinito nella tazza vuota.

LA LINEA BIANCA#3

standard 2 agosto 2013 17 responses

Ho un orologio automatico, uno di quelli che non hanno bisogno di pila. Si ricarica sentendo il movimento del braccio. 
Crescendo ti accorgi di quanto lo scorrere del tempo diventi importante dopo una certa età. Fino a quando sei giovane, che poi è una definizione del tutto soggettiva, non ci fai nemmeno caso, anzi, ogni mezzanotte è un traguardo sul quale scrivere fitte righe di diario. 
Per me ogni mezzanotte è un mostro.
Ha le sembianze dispettose di un satiro.
Ha la sagoma dei mostri di Notre Dame.
Corna, denti aguzzi, ali appuntite, uncini affilati. Stanno lì, appollaiati sulla lucente linea bianca, che appare anche nel buio più denso delle mie notti.
Vedo il loro profilo e mi trasformo.
Per colpa di questi incubi ho desiderato che le notti passassero, che le mezzanotti non arrivassero mai, se non quando ero già nei sogni più profondi, per non costringermi a descriverne le sembianze, sul mio diario.
Chimere. Chimere di fiati persi alle fermate del bus, in attesa del prossimo passaggio che mi allontanasse dal mondo che detestavo, per poter chiudere il mio aspetto ingombrante e goffo dentro una mansarda, insieme ai miei pensieri, costretti in queste mani sempre troppo a lungo, che altra via d’uscita non trovano.

« …Era il mostro di origine divina,
leone la testa, il petto capra, e drago
la coda; e dalla bocca orrende vampe
vomitava di foco: e nondimeno,
col favor degli Dei, l’eroe la spense… »
 

Chimere. 
Sospetti bifolchi e pietrificati sgorbi. 
Vi osservo da questo mio giorno infinito, che non conosce più la notte. 

Mi sono trasferita al nord, nei sei mesi di giorno, in cui il tramonto è solo l’attimo prima di un’alba colorata e fredda. Ho portato con me l’orologio automatico, mi muovo per farlo caricare, come se questo gelo potesse inchiodarmi le braccia ed escludere il flusso del tempo dalla mia vita. 
Aspetto che passi il tempo, nella modesta soglia in cui mi sono ordinata di stare, non esiste più la linea bianca abitata nella notte dalle sagome rilucenti odio.
Perché non porto più con me il desiderio di sconfiggere chi si limita ad osservarmi, da lontano. Ho la presunzione di sentirmi così chiara, piena di luce, che nessun ombra deforme può sopprimere il mio sorriso. 

E il ticchettio del mio orologio.

Notre Dame (Parigi) – Chimere

LA LINEA BIANCA#2

standard 24 luglio 2013 43 responses

Non avevo ancora 18 anni quando ho spento la mia ultima sigaretta. L’ho spenta e pensavo di essere innamorata. Lui era magro, alto, cinque anni più grande. Un carattere spento ma attento. 
Era agosto. E ancora non capivo cosa volesse dire vero amore, ma in quel momento non sapevo di non sapere…non sapevo che lo avrei scoperto molti anni più tardi, sotto un altro cielo, con una luna così stretta da sembrare una virgola bianca.  
Se ci penso adesso, che ho fumato, mi sembra di parlare di un’altra persona, un’altra vita. 
Non so perchè stamattina, quando, nonostante la fretta, piegavo il mio pigiama, ho pensato a quell’ultima sigaretta, alla sensazione che stai per fare una cosa per l’ultima volta. Ora non ricordo se ne ero consapevole, non sono brava con le memorie storiche della mia adolescenza, nemmeno quella più recente.  
L’ultima sigaretta, un significato come fosse un confine, una linea bianca
E quell’amore mai sbocciato?  
E quegli istinti? Sono sempre stata troppo razionale, e questo è il risultato.  
Una mente che produce pensieri come fosse una catena di montaggio, una continuità spaventosa, un intero processo mai finito, senza prodotti da vendere, solo risultati da analizzare.  
Una linea di demarcazione, bianca. Bianca come quell’amore mai consumato, troppo giovane, troppo inconsapevole, incastrato tra le lamiere di una faticosa e farraginosa realtà.  
Ho piegato il pigiama, mi sono lavata i denti dai sapori della notte, ho scelto con quale forma mostrarmi oggi, ennesima decisione di apparire piuttosto che correggere veramente. E sono uscita. È da quel presunto amore che non mi do pace, è da quel momento che ho capito di non capire.  
È da quella sigaretta che ho messo un confine alla mia vita, lasciando che fosse solo di ragione e mai di cuore. 
Il mio profilo contrasta con il sole della mattina, è l’unico riflesso che credo di conoscere veramente, l’unica presenza che posso accettare. Ho scelto una vita di solitudine, ho desiderato di non avere coraggio, lo desidero ancora. 
Non voglio tirare su quella sigaretta dal pavimento, cancellare il confine, eliminare la linea bianca. Quello è il mio punto di non ritorno, il mio rifugio, la mia certezza, il mirino da puntare anche da lontano, quando mi sento persa. 
Mi avvolgo nel bozzolo, pieno di linee bianche, mi appendo al soffitto, come fossi una larva in attesa di trasformazione, mi dondolo mentre sono lì, al riparo.  
Non voglio mai imparare a volare.  
Lasciatemi sola.

Alberto Martini – Donna Farfalla Civetta (1907)
LA LINEA BIANCA è la mia prima “raccolta” di racconti. Per ora solo virtuale, chissà che un giorno, forse, qualche disgraziato passi di qui e rimanga colpito dalle mie scempiaggini…intanto siete voi le mie cavie preferite, gli unici lettori “eletti” per queste prime time così esclusive. 
Grazie per esserci!

LA LINEA BIANCA

standard 15 luglio 2013 83 responses

Ogni mattina cammino lungo una linea bianca, sul marciapiede. C’è lei, io e poi mio babbo. Lui mi porta a scuola, che poi sarebbe l’asilo, ma a me piace tanto chiamarla scuola. Ho anche imparato a scriverla, quella parola, da quanto mi piace.

Mio babbo è basso, con una barba scura, giovane e tanto buono. Io lo faccio correre dietro di me, giochiamo a chiapparello ogni volta, su quel marciapiede grande.

Ci sono un sacco di rami che prendo al volo, mentre corro quasi ad occhi chiusi, strappo le foglie in piccoli frammenti, alcuni si nascondono tra le mie mani e li conservo, nelle tasche del gilet. Una volta a scuola le ricalco con la matita sul foglio, voglio ricordarmi della corsa fatta con papà.

A volte quando corro sento il sapore del latte, oppure dei biscotti al miele. Sento lo zainetto pieno di macchinine che si agita dietro la mia schiena, il rumore delle biciclette che arrivano alle mie spalle e sfrecciano oltre la linea bianca, quel confine che devo tenere bene a mente di non sorpassare, mai. Babbo mi rammenta sempre, prima di uscire di casa, che ci sono delle cose che posso fare anche se sono piccolo, mentre per altre è necessario aspettare. Come andare in bicicletta senza le ruotine…quanto mi piacerebbe…ma è ancora presto. Come mangiare i biscotti caldi, appena sfornati dalla nonna: ditemi come si fa ad aspettare, senza bruciarsi la punta della lingua, i polpastrelli e farsi appannare gli occhiali dal calore del primo morso, con il vapore che mi investe la faccia. Il calore della fragranza. Che buono. Come andare con i miei amici in campeggio o capire come funziona che ci si innamora, ad un certo punto, di una bambina.

Ma se il babbo dice di aspettare io aspetto. 
Mi dice anche che la pazienza è un grande pregio, che mi servirà nella vita. Ma la mattina quando mi viene voglia di correre, mentre papà si stropiccia gli occhi per il sonno…non ce la faccio a trattenermi, corro! In fondo sono un bambino, anche se sono capace a scrivere scuola non vuol dire che sono grande. Perché quella linea che non devo sorpassare, mentre batto i miei piedi sull’asfalto e strappo le foglie con le mani, è un limite che non conosco. Mi attira come una calamita, ma ho anche paura di lei…meglio starne alla larga, così mio babbo, con il tempo, mi insegnerà come camminare da solo anche dall’altra parte del mondo, magari tra le foreste dell’Amazzonia, con quegli alberi così alti che il parco della mia scuola in confronto sembrerà un giardinetto.

Insomma, tutti i giorni faccio la solita strada ma non mi annoio. Imparo tante cose e ricordo tante cose che posso raccontare alla mamma, quando torno a casa il pomeriggio. Ci sono certe volte poi che sono così felice, conservo le piccole foglie strappate fino a quando non torno a casa, per farci una collana. 
Quando sarò grande non voglio dimenticarmi la spensieratezza di questi bei giorni, quando correrò non per divertirmi ma solo per la fretta, allora vorrò toccare questa ghirlanda che ormai sarà secca e fragile e sorridere con i denti grandi e, anche dovesse cadere qualche angolino, io saprò la storia di ogni pezzetto, raccolto lungo la linea di confine, tra la realtà e la fantasia, tra il gioco e il dovere, tra la continuità dell’amore e la frammentarietà della vita. 

E quindi sorriderò, come faccio ora, che ne disegno la sagoma e sento ancora l’odore di clorofilla.
Gustav Klimt – Le tre età della donna (1905)